QUALI POTREBBERO ESSERE LE PRIME SCELTE ECONOMICHE DEL PRESIDENTE BIDEN?

Quali potrebbero essere le prime mosse economiche a livello nazionale e internazionale della nuova amministrazione Biden? Tra cambio di paradigma, lotta alla crisi pandemica e nuovo multilateralismo, alcune ipotesi in questa analisi di Domenico Bevere

Dopo quattro anni della presidenza Trump, la visione statunitense è decisamente cambiata, virando progressivamente da una posizione di attore chiave nel regime internazionale del libero commercio a una incentrata sul tema dell’interesse nazionale. L’effetto rilevante cui si sono trovati gli Stati Uniti è il crescente isolamento in ogni negoziato, che ha comportato la perdita del ruolo centrale rivestito dal secondo dopoguerra. Questa azione si è tradotta con l’uscita dal Partenariato Transpacifico (TPP), l’inoperosità nei confronti del World Trade Organization (WTO) e la ripetuta imposizione di dazi non solo a Pechino, divenuta nel frattempo la principale minaccia geoeconomica statunitense, ma anche all’Unione Europea. Infatti, con l’ingresso alla Casa Bianca di Trump (Febbraio 2017), gli Stati Uniti hanno ritirato l’adesione al TPP, l’accordo con dodici Stati del Pacifico e dell’Asia, e i negoziati per il TTIP, l’accordo USA-UE, sono stati interrotti. Contemporaneamente ha avuto inizio una guerra commerciale tra Stati Uniti e Cina che ha portato all’applicazione di pesanti dazi doganali su centinaia di miliardi di export, con gravi ripercussioni per l’Europa. È importante sottolineare come il venir meno agli accordi TTP e TTIP ha rappresentato un lascito dell’abbandono del multilateralismo, dal momento che gli accordi di libero scambio non vengono più negoziati a livello globale ma si giocano all’interno di rapporti bilaterali e plurilaterali.

Ora però, con la vittoria di Biden, ci si aspetta un cambio di paradigma dovuto in parte all’accresciuto peso della sinistra dentro il partito democratico e in parte ad un clima più favorevole per il commercio internazionale. In particolare, il piano Biden si sviluppa lungo sei linee d’azione chiamate enfaticamente “Buy America”, “Make it in America”, “Innovate in America”, “Invest in all of America”, “Stand up for America” e “Supply America”. Approcci che includono massicci interventi di politica industriale a sostegno delle imprese americane e restrizioni al commercio internazionale. Di fatto, i primi interventi dell’amministrazione Biden saranno mirati a riportare sul suolo statunitense la maggior parte della produzione delle aziende americane sia per evitare di dipendere da altri Paesi (specie la Cina) durante le crisi future, sia per creare una base industriale solida e catene di produzione che garantiscano milioni di posti di lavoro nel Paese.

L’agenda economica si compone di un maxi-piano di investimenti da 7 mila miliardi di dollari in 10 anni, così da sostenere la domanda e rinnovare le infrastrutture immateriali e materiali più obsolete. A questo punto si aggiunge uno sforzo senza precedenti sul fronte della politica energetica, investimento da 2 mila miliardi di dollari, con un sostegno cospicuo alle nuove tecnologie.

Recentemente l’esecutivo Biden ha sollevato il sipario sulla strategia volta a sostenere l’economia e combattere le devastazioni della pandemia. Il  Piano di stimolo da 1.900 miliardi di dollari si focalizza sull’espansione del programma Obamacare, nuove politiche ambientali per eliminare le emissioni di carbonio entro il 2050 ed istruzione. All’interno del provvedimento vi è l’introduzione del salario minimo a 15 dollari l’ora (dagli attuali 7,25 euro/ora), aiuti diretti alle famiglie per 1.400 dollari, un’espansione dell’indennità di disoccupazione supplementare a 400 dollari la settimana fino a settembre, aiuti per gli stati americani e i governi locali e un rafforzamento dei testi COVID. In particolare, dei 1.900 miliardi di dollari, 160 saranno destinati a vaccinazioni e test COVID, 1.000 ai cittadini, 350 agli stati e amministrazioni locali, 440 alle imprese. Il suddetto Piano rappresenta solo il primo dei due pilastri della strategia economica dell’amministrazione Biden. Successivamente sarà emanato un piano per la ripresa con un ottica di lungo periodo in infrastrutture e Green economy.

Durante la campagna elettorale lo stesso Biden ha approvato manovre dirette all’aumento delle imposte sulle imprese e redditi da capitale superiore a 400.000 dollari, al fine di contribuire al pagamento di nuove spese e riequilibrare il carico fiscale per ridurre le disuguaglianze economiche. Guardando infatti ai livelli di disuguaglianza nel reddito da capitale e da lavoro negli ultimi 30 anni negli Stati Uniti, è possibile notare come il reddito da capitale è distribuito in modo molto più disuguale rispetto al reddito da lavoro e le disparità nel reddito da capitale e da lavoro sono aumentate nel tempo. Per poter effettuare una misurazione della disuguaglianza ci si avvale del coefficiente di Gini, che va da 0 (nessuna disuguaglianza) a 1 (massima disuguaglianza), spesso moltiplicato per cento, diventando così un valore tra 0 e 100, più facile da visualizzare graficamente e da comprendere nei suoi trend di crescita o decrescita. In particolare gli Stati Uniti si attestano su un indice di 41,1 (Banca Mondiale, 2020), a dimostrazione di un livello di disuguaglianza molto alto.

La politica economica di lungo periodo si concentrerà, quindi, sugli ambiti di azione che hanno caratterizzato il programma elettorale: investimenti infrastrutturali, ambiente, sostegno alle imprese, sanità e tutela per i lavoratori. Sul fronte della politica industriale spicca un programma di ambiziosi appalti pubblici a favore delle imprese americane, il progetto di eliminare dal regime di tassazione americano i vantaggi che ad oggi le imprese hanno nello spostare la loro attività produttiva all’estero e l’introduzione di incentivi opposti finalizzati a rimpatriare tali attività, in particolar modo quelle ritenute critiche per gli interessi nazionali.

Diverso è invece il discorso per il commercio internazionale, dove il neo eletto presidente intende avviare i negoziati commerciali con i partner atlantici e pacifici, ricostruendo la politica estera americana a seguito della successione di Trump. Il punto dolente di questo lascito sono indubbiamente le relazioni con la Cina. Infatti, Biden eredita dazi su tre quarti delle importazioni dalla Cina e quattro anni di retoriche che hanno fatto breccia nell’opinione pubblica. Allo stesso modo, ha più volte riconosciuto la necessità di adottare una linea dura nei loro confronti, capace di fronteggiare il rischio di acquisizioni di vantaggi sleali, intaccando il settore delle tecnologie e della proprietà intellettuale. L’introduzione di barriere commerciali è, però, un gioco a somma negativa in cui tutti i partecipanti perdono, favorendo esiti imprevedibili che travalicano il solo campo economico. Le proiezioni per i prossimi cinque anni mostrano una riduzione del vantaggio economico cinese nei confronti degli Stati Uniti, seppur Pechino dovrà fronteggiare gli enormi problemi strutturali che persistono in diversi settori industriali, nonché gli elevati livelli di debito e le sempre più estese disuguaglianze. Inoltre, le continue tensioni con Trump hanno danneggiato la competitività estera, mentre l’aggressiva politica estera cinese sta generando un crescente respingimento internazionale. A tal fine, fondamentale sarà il modo in cui l’amministrazione Biden gestirà la relazione USA-Cina, inclusa la volontà di impegnarsi su questioni internazionali chiave come il cambiamento climatico e una minore enfasi sui dazi commerciali.

Tuttavia, nonostante una campagna elettorale accusatoria contro Pechino, potrebbe cercare di recuperare sull’onda della strategia del contenimento tentata da Obama con la dottrina “Pivot to Asia”, che aveva nella Trans Pacific Partnership il suo strumento principale, ovvero 12 economie del Pacifico unite in un cordone commerciale intorno la Cina. A tal fine, l’intenzione di Biden potrebbe essere una revisione dell’accordo esistente con Pechino coinvolgendo anche i partner europei e atlantici, allo scopo di individuare un piano comune di relazioni commerciali e internazionali.

Le tensioni Usa-Cina hanno comportato gravi problemi all’economia globale dal 2018, interrompendo le catene del valore in tutto il mondo. Un’escalation di questo tipo metterebbe sicuramente  a dura prova la debole e incerta ripresa globale del 2021. Inoltre, lo sviluppo di un accordo commerciale dovrà poggiare su due pilastri imprescindibili del Piano Biden, ossia inclusione di clausole che garantiscano le aziende statunitensi e i lavoratori dei Paesi coinvolti, nonché contenere meccanismi in grado di condizionare le catene transnazionali di produzione nelle quali si punta a ridurre peso e influenza dalla Cina. In questo scenario, gli Stati Uniti manterranno la pressione sul furto di proprietà intellettuale, dal momento che la Cina continua ad esser vista come un concorrente diretto nelle tecnologie emergenti che definiranno l’economia del futuro. Ulteriori restrizioni, nella forma di un cauto decoupling tecnologico, produrrebbero l’effetto di reprimere la crescita cinese a favore di una crescita statunitense (+1,8% rispetto all’1,1% del PIL reale), in ragione della volontà da parte di molte aziende di diversificare le catene di approvvigionamento, allontanandosi dal gigante asiatico ed eliminando il dominio delle esportazioni.

Pechino sembrerebbe essere riuscita nel giro di pochi mesi a trasformare una devastante pandemia in una “vittoria geopolitica”, essendo stata in grado di tener sotto controllo il COVID e riavviando la sua economia mentre il resto nel mondo – in particolare modo la parte occidentale – è rimasto alle prese con l’emergenza. La crisi ha infatti reso l’economia cinese più forte, con una crescita del +2%, una produzione industriale aumentata del +7% ed esportazioni cresciute del +21% rispetto allo stesso allo stesso periodo del 2019. Secondo le stime del Centre for Economics and Business Research, la China potrebbe superare gli Stati Uniti e diventere la prima economia al mondo entro il 2028. Un sorpasso che sembrerebbe potenzialmente possibile con quattro anni di anticipo (2024) a causa del COVID.

Per l’Unione Europea, infine, è altamente probabile che l’approccio di rinnovata ispirazione istituzionale e multilaterale dell’amministrazione Biden possa consentire un miglioramento dei rapporti economici tra le due economie, se non altro accrescere il proprio potere regolatori sui mercati internazionali così da poter trovare l’indispensabile sostegno interno, al Congresso e nell’opinione pubblica.

Domenico Bevere – PhD Researcher in Economics, Università degli Studi di Foggia


Immagini tratte da Pixabay

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