Nel mezzo della pandemia, quale transizione energetica?

Pandemia, energia e geopolitica: come cambia il mondo durante la crisi pandemica e quanto peserà la transizione energetica nei prossimi anni nel definire i futuri assetti globali? L’analisi di Matteo Gerlini

Oltre a tracciare un bilancio di ciò che è accaduto, a un anno dall’inizio della pandemia in Italia e in Europa è possibile valutare la prospettiva degli scenari in discussione per il prossimo futuro, ovvero sui mutamenti indotti dalla pandemia sul nostro secolo.

La storiografia ha da tempo iniziato a restituire un quadro più ricco e foriero di lezioni per i tempi che stiamo vivendo riguardo agli effetti che la pandemia di influenza spagnola ha avuto sullo scorso secolo: il presidente americano Woodrow Wilson si infetta alla conferenza di Parigi, e la sua salute ne uscirà irrimediabilmente compromessa, causandone la prematura uscita dalla scena politica e verosimilmente un cambio nella storia del primo dopoguerra. Lo stesso Wilson non aveva adottato alcuna contromisura al dilagare della pandemia negli Stati Uniti, cosa anche essa da tenere presente nel crocevia attuale.

Perché di crocevia si tratta nel momento in cui alcune prospettive che parevano essere rimandate alle calende greche diventano quantomai impellenti. È il caso della questione energetica, che ha visto un’accelerazione verso la decarbonizzazione derivata non tanto da un presunto sussulto ecologista, ma dagli effetti della crisi economica causata dalla pandemia e dalle profonde mutazioni all’organizzazione degli investimenti del lavoro e dei consumi. Il panorama della logistica è mutato profondamente, dunque tutto il settore degli autotrasporti sembra avviarsi verso un cambio strutturale non solo di tecnologia – con la conversione all’elettrico – ma di mercato stesso, visto lo sconvolgimento nei consumi verificatosi in Europa e Stati Uniti. La necessità della connessione digitale è più che mai impellente, con le relative esigenze di costruzione dell’infrastruttura information technology (IT) e conseguentemente di produzione elettrica necessaria per alimentare il tessuto connettivo digitale di ormai buona parte dei rapporti economici (e pure sociali), e dello strumento informatico imprescindibile di ricerca e sviluppo in ogni campo, incluso quello biomedico, sovraesposto in questa crisi pandemica.

La rilevanza della produzione vaccinale, dell’approvvigionamento, e quindi della diplomazia dei vaccini, che pare ridisegnare alcuni scenari geopolitici, è un problema della massima importanza ma della massima contingenza, perché il dato strutturale che segnerà gli anni a venire con le prossime pandemie non è la fornitura del vaccino o la sua filiera produttiva, ma il complesso bio-tech che lo rende possibile. Più che di geopolitica dei vaccini, si tratta quindi dei campi di battaglia della guerra per la supremazia tecnologica. Le disruptive technologies in un mondo sovrappopolato sono di nuovo le IT, a partire dalle intelligenze artificiali applicate alle life sciences, in cui confluiscono invenzioni e scoperte che spaziano dalla veterinaria alla ricerca militare. La sovrappopolazione rende infatti gli ecosistemi urbani e suburbani naturalmente simili agli allevamenti intensivi, sui quali si sono esercitate le ricerche relative alla dinamica delle epidemie e la loro evoluzione e al loro trattamento diagnostico e terapeutico. Allo stesso tempo, la vicenda del vaccino russo dimostra che lo strumento militare nella crisi pandemica non è utile soltanto nel gestire la logistica dei vaccini o tragicamente il trasporto dei cadaveri, come accaduto in Lombardia lo scorso anno: la squadra specializzata delle forze armate russe inviata in Italia ha potuto studiare il virus, permettendo in patria di produrre nei laboratori militari il primo vaccino anti COVID, e poi di svilupparlo e commercializzarlo per uso civile. Nel quadro del confronto fra potenze in cui è inserita la questione del vaccino russo Sputnik la presenza cinese è solo apparentemente dimessa, poiché la Repubblica popolare ha partecipato allo sviluppo mondiale delle bio-tech in modo del tutto simile quanto già osservato per lo sviluppo delle IT, sebbene non sia stato raggiunto lo stesso livello di compenetrazione globale fra oriente e occidente: valga la vicenda del laboratorio di Wuhan, e le sue connessioni internazionali. Il rapporto fra il complesso militare cinese e la sua proiezione sul mercato globale della tecnologia trova la sua sintesi nelle direttive del partito comunista, secondo forme politiche ormai fortunatamente tramontate tanto in Europa orientale che in Europa occidentale.

Purtroppo il potere delle grandi compagnie e la perdita quasi completa di indirizzo politico da parte delle istituzioni statuali che ha segnato la storia non solo americana ma pure europea degli ultimi decenni non ha permesso sinora una risposta in senso democratico alla sfida tecnologica del partito comunista cinese, anzi ha alienato parti imprescindibili della filiera IT, perché ritenute non redditizie ovvero decentralizzabili in Cina, col vantaggio economico della manodopera specializzata a basso costo: valga come memento il servizio del Financial Times dello scorso anno su Huawei, la compagnia indispensabile.

Tornando al nodo energetico, la pandemia ha unanimemente accresciuto il bisogno digitale, e quindi anche il digital divide fra le zone dotate di connessione veloce e quelle divenute digitalmente remote anche se magari geograficamente non lo sarebbero. Lo spazio cyber, che è profondamente interconnesso con lo spazio esterno dei satelliti artificiali orbitanti intorno al pianeta, ha un grande bisogno di energia elettrica. Sarà sufficiente la produzione da fonti cosiddette rinnovabili? Una recente conferenza organizzata dal programma Managing the Atom del Belfer Center di Harvard, ha messo in evidenza come a dieci anni dall’incidente di Fukushima non sia possibile abbandonare la produzione elettronucleare ma anzi sia necessario adeguarla alle esigenze del mondo pandemico e della sua fame di elettricità, per il digitale e per la nuova mobilità elettrica. I cambiamenti climatici non diminuiranno automaticamente con la riduzione delle emissioni, e continueranno a produrre eventi meteorologici estremi come quelli sperimentati in Texas alla fine di febbraio, dove si è consumato il fallimento della dipendenza energetica dall’eolico e dal solare. Le pale delle turbine eoliche si sono congelate, bloccandole, e la neve ha coperto i pannelli solari, azzerandone la produzione. Come accade negli studi sulla complessità, gli effetti della pandemia sulle prospettive energetiche mondiali sono apparentemente contraddittori, in realtà comprensibilmente complessi, e i cambiamenti climatici che pure influiscono sui programmi di recupero e resilienza dal COVID non prospettano soluzioni univoche per le nuove alleanze energetiche del mondo nel futuro prossimo.

Matteo Gerlini


Immagini tratte da Pixabay.com

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