La guerra in Ucraina e il ritorno del Dottor Stranamore

La guerra in Ucraina e le tensioni tra Russia e Occidente hanno ridato forza alla paura di un conflitto atomico su larga scala. Tra propaganda e rischi effettivi, con la paura della bomba forse dovremo convivere anche nei prossimi anni. Una breve analisi

Quando il 24 febbraio le truppe russe hanno invaso l’Ucraina, era difficile immaginare che il conflitto sarebbe potuto durare così a lungo. Ma già dalle prime ore in cui i caccia russi sfrecciavano sui cieli di Kiev, la sensazione di essere di fronte ad un evento epocale, capace di rappresentare uno spartiacque nella storia contemporanea, era stata forte. E man mano che il conflitto si è inasprito e che la resistenza ucraina ha respinto gli attacchi grazie al sostegno dei paesi occidentali, il confronto proprio tra questi ultimi e la Russia si è fatto sempre più duro. Raggiungendo punte di tensione paragonabili a quelli degli anni Sessanta del Novecento, nel pieno della Guerra fredda. Con una differenza di fondo: se allora eravamo pienamente inseriti in un sistema bipolare dominato da due superpotenze mondiali, adesso dovremo abituarci probabilmente a vivere in un sistema multipolare, con diverse potenze, grandi e medie, in competizione tra loro.

Qualunque sarà il risultato sul campo dell’attacco all’Ucraina, stiamo assistendo all’avvio di una fase nuova delle relazioni internazionali, di cui la cifra centrale sarà questo nuovo confronto strategico, durissimo, che si è riaperto tra le potenze mondiali, Stati Uniti, Cina e Russia. Una sorta di ritorno al passato, all’epoca in cui i grandi imperi si confrontavano sia nello scenario mondiale che, soprattutto, in quelli regionali.

Nel corso del conflitto, le tensioni tra Russia e paesi occidentali, già subito altissime, sono andate crescendo, tanto da far temere sia il rischio di una escalation in grado di coinvolgere anche USA e NATO nello scontro, che anche un allargamento della guerra oltre gli stessi confini ucraini. Tanto più, settimana dopo settimana, la situazione sul campo si è fatta critica per i Russi, che hanno palesato tutti i limiti della propria macchina militare convenzionale, e la crisi economica causata dalle sanzioni ha morso sempre più violentemente il paese, che subito, in maniera di certo strumentale, è tornato ad essere evocato l’antico spauracchio atomico. Come a voler ricordare al mondo, e in particolare agli Europei, che la Russia resta la seconda potenza atomica mondiale, e che se minacciata direttamente, potrebbe fare ricorso all’uso dell’arma “finale”. Minacce che spesso, nel perfetto stile che ormai conosciamo da anni, vengono tal volta fatte emergere attraverso allusioni, o dichiarazioni ufficiose subito smentite, oppure, attraverso un’abile retorica velata di vittimismo e nazionalismo, che cerca sempre di imputare comunque eventuali responsabilità agli altri.

In realtà sembra trattarsi di un’abile strategia mediatica atta a tenere alta la tensione, in un momento di difficoltà sul campo di battaglia, con la doppia finalità di spingere sull’orgoglio nazionale, per nascondere le proprie fragilità, ammantando la Russia di una sorta di invulnerabilità e invincibilità determinata proprio dal possesso di armi nucleari “devastanti” e, contemporaneamente, di mantenere al centro del dibattito pubblico, soprattutto nei paesi occidentali, la paura della minaccia atomica diretta contro  le grandi capitali europee.

Questo ritorno improvviso della paura della “bomba”, dei rischi connessi al suo eventuale impiego bellico, ha rappresentato un brusco risveglio per chi, nel corso di questi ultimi decenni, aveva dimenticato la sua esistenza. In molti non ricordavano, o probabilmente non avevano mai fatto i conti, con il terrore suscitato dai temibili missili balistici intercontinentali schierati ai confini europei o dai sommergibili nucleari russi nei mari intorno al Vecchio Continente. Paure che erano state parte integrante della vita quotidiana durante gli anni della Guerra fredda, quando l’Europa attraversata dalla cortina di ferro, è stata per anni sull’orlo di una guerra che poteva diventare nel giro di pochi istanti nucleare.

In questi giorni, in cui la tensione resta elevatissima, ricorrono tra l’altro i sessanta anni dalla crisi dei missili di Cuba, un passaggio storico che ha rappresentato probabilmente una svolta anche nella percezione dell’incombenza del rischio atomico sul mondo. Considerato infatti il momento in cui maggiormente si è rischiato lo scontro diretto tra USA e Unione Sovietica attraverso l’impiego di armi nucleari, la crisi di Cuba tenne il mondo intero col fiato sospeso per giorni.  

A sessanta anni da quella vicenda, la paura di un conflitto nucleare è tornata oggi in essere, quasi inaspettata. Ma a differenza di sessanta anni fa, quando lo scontro tra Kennedy e Krusciov rischiò di portare davvero il mondo verso l’abisso, oggi la situazione sembra diversa. Ma non per questo meno pericolosa.

È probabile che ai nostri giorni in tanti si fossero dimenticati che nel mondo esistono ancora arsenali con migliaia di bombe nucleari. E che vi sono nove paesi dotati di tali armi e molti altri che in poco tempo potrebbero dotarsene facilmente.

Purtroppo il rischio dell’uso di un’arma atomica, come di un incidente nucleare, per quanto residuali e improbabili, sono sempre rimasti in essere, anche dopo la fine della Guerra Fredda. Solamente lo avevamo rimosso. Nel corso degli ultimi decenni, il desiderio di diventare una potenza nucleare ha abbagliato numerosi regimi, a partire dalla Corea del Nord, che ci è riuscita, all’Iran, che vorrebbe riuscirvi.  Qualora quest’ultimo dovesse riuscire a diventare una potenza nucleare, potrebbe suscitare un effetto domino su tutta la regione mediorientale, spingendo altri paesi a volerlo diventare. Ed è giusto rilevare come già nel corso degli ultimi anni, in ragione di numerosi fattori diversi, dai cambiamenti degli scenari globali all’emergere delle tecnologie dirompenti, all’ascesa, appunto, di nuovi attori statuali con ambizioni atomiche, il sistema dei trattati di non proliferazione, edificato tra gli anni Settanta e Novanta del Novecento, è risultato sostanzialmente molto indebolito. Probabilmente anche perché ormai in parte superato dai tempi, essendo stato costruito durante l’epoca bipolare. Ma una sua completa abolizione rappresenterebbe un rischio ancora più grave per la sicurezza mondiale, poiché una proliferazione nucleare incontrollata rappresenterebbe una gravissima minaccia.

Purtroppo anche a causa di questa guerra, e dei cambiamenti che sta determinando sul piano strategico e geopolitico, potremmo assistere ad un aumento dei paesi in grado di raggiungere la celebre “latenza nucleare”, fino anche ad una nuova accelerazione, difficile ma non impossibile, di una vera e propria corsa all’arma atomica. Che, in caso di crisi definitiva del sistema di non proliferazione, potrebbe riguardare alcuni paesi dotati appunto delle necessarie risorse e delle tecnologie adeguate, pronti ad armarsi con l’atomica per garantire di più, e meglio, non solo la propria sicurezza, ma anche i propri interessi. Dal Medio Oriente all’Africa, all’Asia fino al Pacifico, non mancano paesi che potrebbero desiderare di dotarsi di armi atomiche, anche solo di tipo tattico, da affiancare ad altri strumenti di guerra, e di deterrenza, tipici di questo nostro Terzo Millennio. Un obiettivo che potrebbero decidere di raggiungere per essere pronti a rispondere ad una minaccia diretta o anche soltanto per disincentivare i propri avversari da eventuali attacchi o, in ultimo, per assumere uno status regionale, e internazionale, di maggiore rilievo. Dato, appunto, dall’ingresso nel club atomico.

Messa alle strette sul campo, la Russia è tornata ad agitare, non casualmente, lo spettro nucleare, come per risvegliare paure antiche, soprattutto in Europa. Spesso attraverso un’abile propaganda sui social networks e su media compiacenti, l’obiettivo sembra essere quello di disincentivare i paesi occidentali sia dal sostenere ancora l’Ucraina che dal perseguire eventuali attacchi diretti. Lo strumento della minaccia permette di fare pressione soprattutto sulle opinioni pubbliche dei paesi occidentali, per condizionarle e cercare di influenzare di conseguenza i governi eletti. Esposti quindi, in democrazia, agli umori dell’opinione pubblica e dell’elettorato. Uno strumento usato in parallelo con le ritorsioni sul piano energetico, soprattutto verso l’Europa, proprio per mettere pressione ai governi. 

Così è tornata a crescere, anche in Italia, la paura dell’attacco atomico. Financo dell’apocalisse nucleare. Paure che durante la Guerra Fredda erano largamente diffuse nella popolazione. Tanto da essere spesso al centro non solo dei mezzi di comunicazione o del dibatito pubblico dell’epoca, ma anche di opere di fantasia, film, romanzi, fumetti, dove sovente sono stati immaginati, o descritti, possibili scenari atomici o post-atomici.

In questo filone, probabilmente, poche opere dell’intelletto umano possono riuscire a fotografare meglio le paure, i pericoli e le follie di quel periodo storico legato proprio all’incubo della corsa atomica, quanto il Dottor Stranamore di Stanley Kubrick. Un film del 1964, realizzato a due anni dalla crisi di Cuba, un’opera geniale che riesce attraverso una commedia a tinte fosche a rappresentare proprio la pericolosità della corsa alla bomba, del rischio di una incontrollata escalation atomica e, più in generale, del terrore dello scontro totale nucleare, costante nel corso di tutta la Guerra Fredda. Paure e rischi, incarnati proprio dall’iconica immagine dello scienziato impersonato da Peter Sellers, che proprio oggi si è tornati ad agitare in questi mesi di guerra in Ucraina.

La domanda che è lecito porsi in questo periodo è se siamo di fronte soltanto ad una nuova campagna di propaganda oppure davvero potremmo assistere all’impiego di un’arma atomica, per esempio tattica, sul suolo ucraino, capace di innescare poi una escalation su ampia scala.

Considerato l’imprevedibilità degli scenari bellici che abbiamo di fronte e, anche, la gravità della situazione in cui il regime russo di trova, non possiamo al momento escludere nulla. Ma non possiamo nemmeno esimerci dal valutare questa opzione come molto rischiosa. Non solo per i suoi potenziali effetti, sul piano umanitario, ambientale e militare, ma anche per molteplici ricadute di natura politica che potrebbe avere. Una sorta di azione estrema, ultima e disperata, che non è detto potrebbe essere nemmeno risolutiva della guerra.

E se resta al momento improbabile, ma non impossibile, l’impiego di un’arma atomica sul campo in Ucraina, non ravvedendone gli obiettivi, non si vede il motivo per cui dovrebbe scoppiare una guerra atomica su larga scala. La NATO e gli USA hanno respinto ogni accusa propagandistica in merito e nessuna azione è stata intrapresa in un tal senso. Solo una certa propaganda filorussa sta continuando ad imputare responsabilità ai paesi occidentali e alla NATO sia riguardo lo scoppio della guerra che rispetto ai rischi di uno scontro nucleare. Che in Occidente ovviamente nessuno desidera.

Anche per questi motivi occorrerebbe fare molta attenzione alla diffusione di notizie e informazioni, tal volta frutto di autentiche campagne di disinformazione costruire ad arte, circa non solo i rischi di un attacco atomico, ma anche lo schieramento di armi e arsenali ad essa preposti. Molto in questo conflitto è condizionato dalla propaganda: anche la minaccia di una guerra atomica sembrerebbe rientrare, in questo momento, in uno dei diversi strumenti di disinformazione messi in campo. Pur restando un rischio che nessuno può e deve sottovalutare, è necessario inquadrarlo anche nel contesto di guerra psicologica e informativa che si sta combattendo anche oltre i confini stessi dell’Ucraina. Ma il pericolo, come è stato da più parti ricordato, esiste sempre, anche in questo momento. Di fronte all’ipotesi di una sconfitta sul campo, non sappiamo se davvero Putin potrebbe tentare anche questo ultimo azzardo. Un azzardo davvero enorme, che potrebbe produrre conseguenze imprevedibili anche per la stessa Russia.

Dalla fine della Seconda Guerra mondiale, l’unico conflitto in cui l’arma atomica è stata impiegata, è di fatti stato evidente che il suo uso è stato più minacciato, che davvero ritenuto possibile. Il rischio della Mutually Assured Destruction (MAD), ovvero di una distruzione reciproca e totale tra le potenze in campo, USA e URSS, durante la Guera Fredda era l’assicurazione che garantiva di fatto la impossibilità di una guerra apocalittica. Nessuno l’avrebbe avviata, sapendo che avrebbe rappresentato la distruzione totale di entrambi.

Oggi, però, al di là della crisi ucraina e dei rischi ad essa connessi, che mantengono altissima la tensione, ci sono alcuni elementi che fanno temere maggiormente il fatto che in futuro, potremmo doverci trovare innanzi ad una nuova corsa all’atomo per fini militari. Oltre a quello, certamente più residuale, del suo possibile uso. Perché da questo conflitto emerge con forza che anche la sola minaccia dell’impiego di armi atomiche ha permesso fino ad oggi alla Russia di difendersi. E in futuro, altri paesi, per tutelare maggiormente la propria sicurezza, soprattutto in contesti regionali molto conflittuali, potrebbero ritenere utile armarsi con qualche “bomba” anche di piccolo calibro, pur di poterne minacciare l’uso. Inoltre, i rischi di una nuova stagione di proliferazione nucleare, su più larga scala di quella cui abbiamo comunque assistito negli ultimi anni, potrebbe portare anche ad altri rischi, come quelli della circolazione di materiale radioattivo utile a costruire armi sporche. Perfette, per esempio, per gruppi di terroristi o milizie paramilitari.

Se in Ucraina si dovesse davvero fare ricorso allo strumento bellico atomico, per quanto anche di proporzioni ridotte, sarebbe un disastro globale. Di cui non possiamo nemmeno immaginare gli effetti. Per questo anche potenze come Cina e India appaiono radicalmente contrarie a questa ipotesi, sapendo bene che avrebbe conseguenze devastanti anche per loro, per i mercati globali, per la sicurezza mondiale, per stabilità del pianeta. Nessuno può sottovalutare un simile rischio, oggi e in futuro. Qualunque sarà il risultato di questa sanguinosa guerra, a cui speriamo vivamente possa al più presto essere trovata una soluzione diplomatica e politica.

Certamente, se stiamo davvero vivendo una sorta di ritorno ad una forma di “Nuova Guerra fredda”, proprio la minaccia atomica potrebbe tornare ad essere nuovamente attualissima. Una minaccia, lo ribadiamo, che esisteva anche prima della crisi ucraina.

Dovendo fare i conti con un nuovo sistema internazionale multipolare, in cui la competizione tra grandi potenze potrebbe esserne la cifra di fondo, una delle condizioni di questo nuovo confronto strategico globale potrebbe essere una nuova corsa atomica. E se non dovessimo assistere ad una corsa simile a quella degli anni Cinquanta e Sessanta, l’opzione del riarmo atomico potrebbe restare una delle tante, soprattutto per i paesi oggi non dotati di questo genere di armi. Magari una corsa a ordigni di piccole dimensioni, in numeri contenuti, ma in grado di rappresentare una possibile opzione anche solo da minacciare.

Contemporaneamente l’esperienza ucraina ha anche rappresentato un evidente ritorno in auge anche della forza militare convenzionale, affiancata e implementata, dalle moderne tecnologie.

Questo conflitto ci ha rivelato con brutalità estrema quanto ancora oggi possa essere fondamentale, per vincere sul campo una guerra, l’elemento umano, insieme all’impiego massiccio di mezzi, come i carri armati o l’artiglieria, che troppo frettolosamente erano stati considerati superati. Ma proprio a causa di questo ritorno dell’hard power più tradizionale, composto dalla combinazione delle forze di aria, mare e terra, anche l’elemento della potenza nucleare, emerso alla fine della Seconda guerra mondiale e diventato caratterizzante, e condizionante, della deterrenza della seconda metà del Novecento, riprenderà vigore, come decisivo, nel rendere un paese che lo detiene difficile da attaccare da parte dei suoi avversari. Non è da escludere che nei prossimi anni assisteremo al ritorno ad una forma di deterrenza di cui la forza nucleare sarà un elemento importante, insieme alle capacità di muoversi e colpire attraverso tutti i domini esistenti, compresi lo spazio e la dimensione cyber, sia con strumenti convenzionali che non. Questo ultimo elemento potrebbe stravolgere, in un contesto multipolare, gli ultimi equilibri rimasti dalla fine della Guerra Fredda. Compreso ciò che resta dell’architettura internazionale di trattati e accordi contro la proliferazione nucleare.

In questo quadro emerge con forza il tema della postura che i paesi occidentali dovranno tenere, nel corso dei prossimi anni, di fronte al nuovo contesto strategico e geopolitico che si sta determinando. Un contesto in cui alle minacce tradizionali alla sicurezza, simmetriche e asimmetriche, si affiancheranno anche altre tipologie, da quelle di natura climatica a quelle di tipo sanitario a quelle determinate dell’avvento delle tecnologie dirompenti e dalla rivoluzione digitale. La posizione che Europa, Stati Uniti e i loro alleati nell’Indo-Pacifico, terranno di fronte alle altre potenze, dalla Russia alla Cina, potrebbe diventare determinante per definire i futuri equilibri nel nuovo ordine internazionale che dopo la guerra in Ucraina, e i due anni di Covid, si sta producendo. Consapevoli però del fatto che, a differenza del passato, in questo nuovo sistema internazionale emergente, molti attori regionali di rilievo potrebbero decidere di non schierarsi direttamente al fianco di nessuno dei contendenti, ma di agire ogni volta a seconda delle proprie convenienze, rendendo ancora più complessa, e fluida, la situazione.

La sfida lanciata da Cina e Russia, e anche da altri paesi ad esse affiancate come Korea del Nord o Iran, ai paesi occidentali e all’ordine internazionale liberale è aperta. Essa, già oggi, interessa aree del pianeta come il Mediterraneo, l’Artico, l’Africa, il Pacifico e non si gioca solo sul piano militare, ma soprattutto su quello economico, tecnologico e politico. Con la guerra in Ucraina, questa sfida potrebbe anche assumere un carattere di tipo ideologico, nella contrapposizione tra democrazia e autarchia. Ma a differenza della Guerra Fredda, data anche l’imprevedibilità e la mutevolezza degli scenari attuali, l’elemento ideologico potrebbe essere molto più residuale e strumentale. Sicuramente questa competizione rappresenterà il cuore del confronto globale dei prossimi anni a partire dalla rivalità tra Cina e Stati Uniti. Con sullo sfondo la grande incognita del ruolo che India ed Europa vorranno svolgere, e il tema di cosa resterà della Russia dopo questa guerra.

Di fronte a questi scenari futuribili, la lezione della storia potrà essere come sempre preziosa: la forza nucleare resterà in campo, come vi è rimasta negli ultimi settanta anni, non solo come possibile strumento di offesa, ma anche come simbolo di natura politica e mezzo per affermarsi sul piano internazionale. Un paese, magari economicamente e tecnologicamente forte, che nei prossimi anni dovesse aspirare a diventare una potenza, militare oltre che politica, potrebbe volersi dotare proprio di una simile capacità bellica, funzionale ad accrescere il proprio status sul piano globale, e ad aspettarsi, dalle altre potenze in campo, soprattutto da quelle geograficamente più prossime, il preteso rispetto.

E al pari dei rischi derivanti dai cambiamenti climatici, dalle emergenze sul piano sanitario o ambientale, dalle crisi finanziarie, dal terrorismo internazionale, anche il ritorno della minaccia atomica potrebbe essere una seria realtà del nostro futuro.

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