La Terra brucia: la sfida climatica e il ruolo dell’Occidente

Mentre in Egitto si tiene la nuova Cop27, la posizione espressa da Biden durante la riunione, e il ritorno in campo degli USA nella lotta ai cambiamenti climatici, possono rappresentare una svolta importante.
Dopo mesi caratterizzati da anomalie climatiche, che hanno colpito l’Europa e il resto del mondo, si palesano sempre di più i rischi crescenti, anche per la nostra sicurezza, derivanti dai cambiamenti climatici
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Immagini incredibili, spesso drammatiche, sono rimbalzate sui media per tutta l’estate, da molti paesi europei e non solo. La Francia, la Spagna, la Grecia, l’Italia sono avvampate per settimane tra incendi e caldo record. Nello stesso periodo, siccità e anomalie climatiche hanno colpito Asia, America, Medio Oriente, Africa. Eventi atmosferici estremi, alluvioni improvvise e spaventose hanno messo in ginocchio alcuni grandi paesi come il Pakistan mentre altrove la terra bruciava, arida, per il caldo e il fuoco. Incendi spaventosi, per esempio quelli che hanno colpito l’Europa o la California, hanno divorato boschi e campi in un crescendo che è spesso apparso simile alla trama di un disaster movie.
Le statistiche ci dicono che siamo di fronte all’anno in cui l’Europa è stata più martoriata dagli incendi. Ma anche che abbiamo vissuto probabilmente uno degli anni più caldi della storia recente, mentre le emissioni di Co2 continuano a crescere.

Un caldo torrido, innaturale, ha assediato a lungo le nostre città, con punte di calore mai viste, ne registrate prima, fino a pochi giorni fa. Intanto, con queste stagioni estremamente calde, arretrano i ghiacciai alpini, le montagne si sbriciolano al loro disciogliersi. Con la previsione che con questo ritmo nei prossimi anni potrebbero scomparire. Mentre la siccità avanza, inesorabile, dopo un anno di scarsissime precipitazioni in tutto il bacino del Mediterraneo, una delle regioni più colpite dagli effetti dei cambiamenti climatici e poi a rischio desertificazione in molte sue aree.
Le peggiori previsioni, circa i rischi legati all’effetto serra e al cambiamento climatico, nel corso degli ultimi mesi sembrano essersi avverate. E le minacce ad essi collegate emergono inesorabili, manifestandosi nella loro pericolosità e nella loro onerosità sul piano economico e sociale.
Proprio questi elementi sono emersi con ancora più chiarezza, supportati anche da molti dati scientifici, anche in questi ultimi giorni, mentre in Egitto si è aperta la nuova riunione Cop 27, dedicata alla lotta ai cambiamenti climatici. Un appuntamento che ogni volta rinnova la sfida delle Nazioni Unite contro quella che già oggi rappresenta una delle più grandi emergenze del pianeta, ma su cui purtroppo non sembra che tutti i paesi siano ugualmente impegnati.
Anche questa volta, in apertura della riunione, la paura che, come nelle precedenti occasioni, anche questa assemblea potesse essere un’ennesima occasione persa, o potesse non riuscire davvero ad imprimere la necessaria svolta alla lotta globale ai cambiamenti climatici, era forte. Con essa i timori legati all’impatto che anche l’emergenza rappresentata dalla guerra in Ucraina sta avendo sulla sicurezza energetica mondiale, sono al centro dell’attenzione. Perché la guerra in Ucraina porta con sé drammatiche conseguenze umanitarie, a causa anche della crisi energetica e alimentare che ha generato.

È evidente che dopo due anni di Covid, con l’ombra di una recessione globale che incombe sull’economia mondiale, e la guerra in atto che minaccia appunto sul piano energetico ed alimentare molti paesi, le incertezze legate anche alle prospettive della lotta ai cambiamenti climatici sono molti. Anche se, invece, come ribadito dal Presidente Biden nel suo intervento, dovrebbe probabilmente essere proprio questa attuale fase a spingere in favore della transizione ecologica ed energetica, anche per abbandonare il più possibile le fonti energetiche fossili, al centro del confronto strategico tra le potenze e oggetto anche dello scontro in atto. Infatti, come dimostrato di recente, l’energia è diventata sempre di più uno strumento di pressione e di ricatto, anche a livello geopolitico oltre che economico. E la guerra sta confermando questa dura realtà.
Ma forse proprio la nuova posizione espressa dal Presidente americano, forte anche dei buoni risultati conseguiti nelle elezioni di Midterm, che annuncia un ritorno da protagonisti degli Stati Uniti nella lotta ai cambiamenti climatici, potrebbe rappresentare una importante notizia in questa nuova riunione. Perché è evidente che in una simile sfida il peso che possono mettere gli Stati Uniti, insieme all’Europa, può essere molto rilevante per spostare gli equilibri della partita.
Del resto, la sfida del clima che cambia è la più importante, insieme alla rivoluzione tecnologica e l’avvento dell’intelligenza artificiale, che la civiltà umana dovrà affrontare nei prossimi anni.
Siccità, incendi, fenomeni atmosferici estremi, desertificazione, scioglimento dei ghiacci montani e polari, sono solo alcuni effetti derivati dai cambiamenti climatici. A loro volta, possono portare a conseguenze devastanti sulle comunità umane in intere regioni del pianeta. Favorendo conflitti, violenze, instabilità, povertà e carestie.
La questione climatica è un tema centrale per l’agenda politica globale: la sua drammaticità chiama in causa direttamente, senza esagerazioni, il futuro della razza umana e la sopravvivenza della vita sul pianeta.
È ormai infatti probabile che nei prossimi anni l’uomo dovrà giocarsi le proprie carte per salvare il pianeta dai rischi che si stanno rapidamente determinando.
Che la Terra abbia avuto nella sua storia fasi diverse sul piano climatico è noto. Ma che l’attuale riscaldamento delle temperature, e i cambiamenti ad essa connessi, siano anche il frutto del processo di sfruttamento intensivo del pianeta da parte dell’uomo, delle emissioni gassose, del sovrappopolamento, della distruzione di ecosistemi fondamentali per gli equilibri climatici, come le foreste pluviali, è altrettanto chiaro. Si tratta di un problema che non interessa un singolo paese o una singola area del pianeta, ma ha una portata globale.
Eppure, nonostante questo, abbiamo difficoltà ad assumere decisioni realmente “globali”, poiché un pezzo fondamentale dello sviluppo umano e dell’economia globale sono indissolubilmente legati allo sfruttamento intensivo e alla trasformazione del pianeta. Non tuti i paesi, a partire per esempio da giganti come Cina e India, sono pronti a rinunciare alla propria attuale crescita economica in nome di regole più restrittive sul fronte ambientale e climatico, riducendo per esempio le proprie emissioni di Co2 o rinunciando per esempio al carbone come fonte energetica a basso costo.
Oggi però l’impatto sempre più devastante dei cambiamenti climatici, con i danni prodotti dagli eventi catastrofici, sta determinando danni economici e sociali che hanno costi elevati, sotto molti punti di vista. E nonostante a pagare il prezzo più elevato dell’impatto sull’ambiente dei cambiamenti climatici siano i paesi più poveri, anche i paesi più ricchi non sono esenti da rischi. Come dimostrato dalle cronache recenti. Anzi, questi rischi aumenteranno di anno in anno e potranno abbracciare sempre più campi della nostra vita e della nostra sicurezza. Come giustamente ricordato da Joe Biden.
Non è un caso se da alcuni anni, non solo l’Unione Europea, ma anche la NATO, hanno focalizzato con grande attenzione il tema dei cambiamenti climatici e delle minacce ad essi collegati, definendoli come un potenziale moltiplicatore di crisi. Perché di questo si tratta. Un fattore che non solo agisce direttamente, ma può fungere da moltiplicatore di altre potenziali emergenze, di numerose forme di rischio per la sicurezza e la stabilità politica, istituzionale, economica, sociale dei paesi, non solo occidentali.
A livello interno, i rischi diretti e indiretti per le nostre società e la vita quotidiana delle persone sono numerosi, come dimostrato anche dalle cronache recenti degli ultimi mesi. E nei prossimi anni, se dovessero ripetersi stagioni siccitose, o moltiplicare eventi atmosferici catastrofici, potremmo essere di fronte ad un aggravarsi di emergenze collegate al clima anche in aree un tempo sicure. Con costi politici e sociali elevatissimi, che potrebbero infine mettere a serio rischio anche la stabilità dei sistemi democratici.
A pagare il prezzo più alto dei danni delle calamità climatiche, della siccità, delle temperature elevate sono spesso le categorie sociali più fragili, così come sul piano internazionale sono i paesi più poveri. E questo comporta comunque una minaccia per la stabilità e la sicurezza di tutto il pianeta, anche dei paesi occidentali, nei quali insicurezza e danni economici potrebbero avere una ricaduta diretta anche sugli orientamenti dell’opinione pubblica. La quale deve essere informata e preparata ai rischi derivanti dai cambiamenti climatici e allo stesso tempo, comprendere la portata della sfida che la transizione energetica può comportare.
Ma se si allarga il campo visuale possiamo vedere quanto i cambiamenti climatici, avendo ricadute drammatiche anche sui paesi più prossimi a nostri confini, possano colpirci con altre conseguenze gravi, moltiplicando nuove potenziali minacce alla nostra sicurezza e stabilità. Nelle regioni ai limiti dei confini europei, in Africa o in Asia, infatti, per effetto del climate change, stanno emergendo nuove emergenze, con un impatto rilevante per tutta la regione.
Pensiamo al tema acqua: siccità e desertificazione colpiscono molti paesi africani o mediorientali, in cui la penuria di acqua può generare, da un lato, gravi crisi umanitarie, per esempio carestie come quelle che stanno colpendo i paesi del Corno d’Africa come Etiopia, Somalia e Sud Sudan, ma anche inducendo i governi dei paesi più a rischio a cercare di controllare e gestire in maniera sempre più stringente le risorse idriche, sempre più preziose, in propria disponibilità. Si pensi al caso della grande diga etiope sul corso del Nilo. Queste tipologie di eventi, e di decisioni conseguenti, possono avere un impatto sul piano non solo economico o umanitario, nei territori che per esempio si vedono privati di acqua un tempo disponibile, ma anche a livello politico, geo-politico e, potenzialmente, militare.
Il rischio che nel futuro prossimo, soprattutto in aree molto assetate, possano esplodere nuove tensioni, e anche conflitti, per il controllo delle sorgenti e delle risorse idriche è sempre più elevato. Può riguardare paesi, comunità, e gruppi armati lungo i grandi fiumi africani, come il Nilo o il Niger, o in regioni a rischio, dove non mancano anche forme di conflitti e tensioni di tipo etnico o politico che potrebbero unirsi a quelle per il controllo dell’acqua. E le regioni dell’Africa, oggi, appaiono tra le più esposte a questo tipo di minacce, anche per la crescita esponenziale a livello demografico che alcuni paesi africani stanno avendo (si pensi al Sahel e a tutta la fascia subsahariana).
Dall’altro lato, i cambiamenti climatici, abbattendosi sulle popolazioni di regioni povere o poverissime, come appunto il Sahel o il Corno, potranno causare sempre maggiori danni alle comunità agricole e rurali, aumentando tensioni e conflitti per il controllo delle risorse disponibili e dei terreni coltivabili o utilizzabili per la pastorizia, e anche accrescendo povertà, crisi economica, carestie. Continuando a spingere migliaia di persone a lasciare i propri villaggi, le proprie terre d’origine, per cercare fortuna in Europa. Con una nuova potenziale ondata migratoria, prodotta proprio dagli effetti dei cambiamenti climatici, che nel corso dei prossimi anni, moltiplicandosi emergenze e crisi, potrebbe intensificarsi sempre di più. Ed è evidente che a ridosso dei confini europei, dal Medio Oriente all’Africa all’Asia Meridionale, sono numerose le aree esposte a questi tipi di problemi e da cui, nei prossimi decenni, potrebbero muoversi migliaia di persone in fuga da carestie, siccità, conflitti.
Ma i cambiamenti climatici incidono anche sugli ambienti che ci circondano o in cui viviamo: non solo per quanto riguarda per esempio i processi di inaridimento di alcune regioni europee, o lo scioglimento dei ghiacciai alpini o la riduzione dellamportata dei corsi d’acqua. Si pensi per esempio ai mari, dove possono avere effetti sulle temperature delle acque e delle correnti oceaniche, da cui dipendono molti degli equilibri di ecosistemi complessi come quelli marini. Con un impatto, per esempio, sulla pesca, ma anche sulla sicurezza dei mari stessi. Inoltre l’aumento delle temperature atmosferiche, accrescendo il ritmo di scioglimento dei ghiacci polari, potrà produrre in futuro attraverso l’innalzamento dei livelli delle acque effetti sempre più gravi sulla sicurezza dei porti e dei trasporti, così come sulle coste o su numerose isole a rischio.
Infine, ultimo tema non banale, cosa potrà accadere in futuro, a livello politico e geo-politico, se mentre alcune regioni diventeranno invivibili per effetto delle temperature elevate e della desertificazione, mentre altre, a nord, diventeranno meglio accessibili perché liberate dalle temperature troppo fredde e dai ghiacci un tempo perenni? Si pensi ad esempio ad una regione come la Groenlandia, oggi di fatto disabitata, o ad alcune regioni della Russia o della Scandinavia. Con temperature più vivibili potrebbero diventare terre abitabili permettendo anche la formazione di nuovi insediamenti umani la dove, fino a pocontempo fa, era ritenuto molto difficile. Permettendo di sfruttare zone del pianeta ricche di risorse minerarie o strategiche per la logistica.

Le possibilità di accesso a risorse oggi inaccessibili, per esempio proprio nella regione artica, possono scatenare una sorta di nuova corsa all’Artico tra le maggiori potenze del pianeta, portando per esempio non solo alla colonizzazione di questa regione, ma anche a un aumento costante di traffici marittimi nei suoi mari, sempre più liberi dai ghiacci, e una possibile militarizzazione della regione.
I quesiti che emergono di fronte a questi scenari sono molti e inquietanti. E non lasciano spazio a facili speculazioni. Potremmo essere di fronte a una svolta radicale per il futuro del pianeta e dell’umanità rispetto a cui non potrà bastare la reazione che metterà in campo un singolo paese. La transizione energetica ed ecologica avranno un costo, certamente, e impatteranno sulle attività produttive, l’economia, i trasporti, la vita sociale. Ma investire nella sostenibilità ambientale ed umana dei nostri sistemi, sociali ed economici, e avviare la transizione verde è una necessità, che oltre a costi e sacrifici, può rappresentare serie opportunità di innovazione, sviluppo, crescita, modernizzazione non solo per i paesi più ricchi. Per quanto la transizione energetica potrà essere onerosa, e lo sarà, i costi e i rischi legati al suo fallimento potrebbero essere ben maggiori e ben più gravi. Non solo sul piano economico, ma anche per la sicurezza umana.

Per questo, consapevoli degli oneri e dei costi, che dovranno essere equamente ripartiti sul piano globale, in questa battaglia per il clima occorrono alleanze ampie, a partire dai paesi più a rischio, con un ruolo protagonista dell’Occidente.

Se il rapporto tra uomo e pianeta, tra uomo e natura, è sempre stato di trasformazione e sfruttamento, pensare che questo possa continuare ad essere, anche in futuro, indiscriminato e privo di regole potrebbe rivelarsi un errore. Le ricadute dei cambiamenti climatici, con le loro conseguenze gravi, colpiscono tutti, indistintamente. I paesi più ricchi che vedono minacciati i propri livelli di benessere e la loro stabilità politica, e anche quelli più poveri, che rischiano di diventare sempre più poveri, ma anche quelli in via di sviluppo o in fase di sviluppo avanzato, in cui le ricadute potrebbero comunque nel tempo avere un effetto boomerang, e indebolire le stesse economie in crescita, produrre danni, creare disagi e instabilità sociali e politiche difficili da gestire e arginare.
Ecco perché la sfida ha anche connotati fortemente politici e geopolitici e il ruolo degli Stati Uniti, in quanto maggiore potenza globale, può essere determinante. Se l’Occidente riuscirà ad affrontare questa partita unito, con Europa e USA solidamente alleati, capaci di allargare il fronte a tutti i paesi democratici, a partire da quelli indo-pacifici, potrebbe essere l’occasione per gettare le basi una convergenza più ampia anche con i paesi del Sud del mondo. Ma per farlo occorrerà una proposta forte, messa in campo dai paesi democratici e tecnologicamente più avanzati, per superare le difficoltà attuali.
La sfida del clima che cambia riguarda la nostra sicurezza ma anche il futuro della democrazia e piu in genrale il futuro della sopravvivenza umana sulla Terra. Su questo pianeta che sembra bruciare sempre di più. Si tratterà di una partita difficilissima, soprattutto con quei paesi che, al momento, non sembrano disposti ad affrontarla con la stessa determinazione. Ma forse proprio per l’importanza che avrà, nei futuri equilibri securitari, geopolitici e geoeconomici del mondo, l’Occidente non può che affrontarla con una strategia ben delineata e con una visione di futuro.

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