Analisi degli attacchi terroristici in Europa tra”blocco funzionale” e spinta all’emulazione

L’intervento di Claudio Bertolotti, Direttore dell’Osservatorio ReaCT, al convegno “Il futuro del terrorismo di matrice jihadista”, martedì 29 ottobre alla Camera dei deputati.

Il terrorismo non è il problema. Il terrorismo è la manifestazione violenta di un problema oggettivo che è la diffusione dell’ideologia jihadista; un’ideologia che si muove su un piano comunicativo estremamente efficace e che coinvolge un numero importante di soggetti che possono rappresentare una minaccia seria e concreta alla sicurezza.

L’ideologia jihadista alimenta il fenomeno della radicalizzazione. È dunque sull’ideologia (anche attraverso la contro-narrativa) che devono essere concentrati gli sforzi maggiori, così da contenerne o sconfiggerne le manifestazioni violente.

La nostra generazione è testimone di un fenomeno che si è imposto mediaticamente, ancor più che su quei campi di battaglia che dall’Afghanistan all’Iraq alla Siria sono giunti sino alle porte di casa, in Nord Africa e poi nel cuore stesso dell’Europa con gli attacchi principali di Parigi, Bruxelles, Londra, Berlino, ecc…. e dei tantissimi attacchi secondari a bassa intensità che portano a un totale di 116 azioni violente “in nome del jihad” registrate dal 2014 a oggi.

Parliamo certamente di terroristi che hanno importato la violenza in Europa, ma parliamo di un numero ben superiore di individui che invece, nati e cresciuti in Europa, sono cittadini europei o comunque regolarmente residenti in Europa, e dall’interno hanno colpito. Parliamo di soggetti prevalentemente immigrati regolari o di seconda o terza generazione appartenenti, prevalentemente, alle comunità Marocchina, Algerina, Tunisina – con un’età mediana di 22 anni (44 percento di età inferiore ai 26 anni). Solo una minima parte sono “irregolarmente entrati all’interno dell’Unione Europea: l’11 percento del totale.

In tale scenario, e in particolare nel momento in cui lo Stato islamico nel 2014 fa appello per entrare a far parte del proto-stato teocratico e sunnita che si impone in Siria e Iraq, e dunque a trasferirsi, dall’Europa rispondono in migliaia all’appello. E l’Europa diviene dunque esportatrice di terrorismo, con oltre 5.000 volontari che vanno a combattere in Siria.

Ma quel terrorismo che in Europa si impone, violentemente nelle nostre quotidianità, lo fa con una violenza micidiale e con numeri ben superiori, per quanto limitati, rispetto all’attenzione mediatica sugli stessi. Parliamo di 116 azioni, portate a termine in Europa dal 2014 a oggi da 157 terroristi (dei quali 56 sono deceduti) e che hanno provocato la morte di 388 persone e il ferimento di altre 2353: l’ultimo il 3 ottobre in Francia, a Parigi.

Ma soltanto 11 del totale sono attacchi terroristici ad alta intensità (con un numero di vittime superiore a 20); gli altri sono eventi che classifichiamo come eventi a media intensità con un numero di vittime compreso tra 3 e 20 (il 36 percento del totale,) e a bassa intensità, meno di due vittime (il 56 percento – circa 6 su 10).

Ma al di là del numero dei morti e dei feriti, o degli attentatori che effettivamente hanno portato a compimento le azioni terroristiche, quali i risultati effettivi del terrorismo jihadista in Europa all’epoca dello Stato islamico che fu di Abu Bakr al Baghdadi? Attraverso l’analisi del dataset sul terrorismo di START InSight, ci concentreremo su questo aspetto, tra i tanti interessanti: quello del terrorismo è successo o insuccesso?

IL SUCCESSO DEGLI ATTACCHI TERRORISTICI: OTTENUTO IL “BLOCCO FUNZIONALE” NEL 74 PERCENTO DEI CASI

In primo luogo, gli anni di maggior espansione territoriale e mediatica dello Stato islamico sono stati quelli in cui vi sono i principali attacchi terroristici in Europa: 2016-2017 e 2018. Nel 2017 si concentrano gli attacchi che percentualmente hanno maggior successo (4 su 10 provocano almeno una morte).

Ma nel complesso, guardando all’intero periodo, il 24 percento sono attacchi fallimentari (nessuna vittima, solo feriti o nulla); il 34 percento ottengono “successo tattico” (almeno una vittima deceduta); il 18 percento ottengono successo strategico (blocco traffico aereo, mobilitazione delle Forze armate, coinvolgimento opinione pubblica a livello internazionale).

Ma un aspetto ancora più importante, che in genere non viene riconosciuto, sia sul piano divulgativo-informativo, sia su quello tecnico-accademico è quello che abbiamo voluto chiamare “blocco funzionale”: il più importante dei risultati ottenuti dai terroristi sul moderno campo di battaglia europeo.

All’interno di questa categoria sono inseriti tutti quegli eventi che hanno influito in maniera significativa sul livello operativo delle forze di sicurezza, pensiamo alla mobilitazione militare conseguente all’attacco parigino del Bataclan, ma anche sulla limitazione o lo svolgimento regolare delle normali attività quotidiane degli apparati pubblici, o di mobilità urbana a danno delle comunità colpite. Si tratta di ripercussioni dirette sulle attività delle forze di sicurezza e sulle comunità in grado di agire sulla libertà di accesso a determinate aree, imponendo tempistiche dilatate e, ancora, riducendo in maniera efficace il vantaggio tecnologico e il potenziale operativo.

I risultati sono tangibili e, a livello operativo, gli attacchi hanno ottenuto dal 2004 a oggi, un successo relativo (il blocco funzionale) in media nel 74 percento dei casi (84 percento nel 2017). Un risultato impressionante considerando le limitate risorse messe in campo dai gruppi, o dai singoli terroristi. E sono danni, quelli provocati dagli attacchi terroristici, che si traducono in costi elevati per la collettività.

UN TERZO DEGLI ATTACCHI TERRORISTICI SONO “EMULATIVI”

Un altro aspetto interessante è il ruolo di “attivatore” giocato dagli eventi ad alta intensità che, in relazione al numero di vittime provocato, stimola soggetti autonomi ad agire con atti “EMULATIVI”. Guardando all’elenco degli attacchi ad alta e media intensità (quelli che cioè provocano un maggiore numero di vittime) ci rendiamo subito conto di una concentrazione di eventi a bassa intensità entro gli otto giorni successivi ai principali eventi (quelli che ottengono maggiore attenzione mediatica): il 27percento.

Questi eventi, secondari, spesso fallimentari, raramente ottengono l’attenzione dei media che vada oltre il livello locale ma suggeriscono come il coinvolgimento di soggetti “autonomi” avvenga attraverso lo stimolo emotivo alimentato dall’attenzione mediatica e dalla narrativa utilizzata dai gruppi terroristi attraverso i social.

Questo, in estrema sintesi, può essere letto sul terrorismo in Europa, un fenomeno che, a livello di manifestazione si è significativamente ridotto, ma che sul piano potenziale continua ad essere una grandissima sfida su cui è necessario agire con crescente impegno sul piano della prevenzione. Tanto più che con la morte del leader jihadista, Abu Bakr al-Baghdadi, la struttura multipla dello Stato Islamico gli sopravvive.

Claudio Bertolotti è Direttore dell’Osservatorio ReaCT

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