“Leadership agile nella complessità”. Consigli utili per comandanti (anche d’azienda).

La recensione del libro di Fernando Giancotti e Yakov ShaharabaniLeadership agile nella complessità. Organizzazioni, Stormi da combattimento” a cura di Alberto Pagani

Nel 2006 gli autori di questo libro, due ufficiali piloti dell’aeronautica militare, sono a Washingoton per completare la loro formazione manageriale all’ICAF – Industrial College of the Armed Forces – presso la National Defense University, dove hanno studiato Dwight Eisenhower e Colin Powell. Sono l’italiano Fernando Giancotti e l’israeliano Yakov Shaharabani. Il generale Giancotti (che dopo essere passato dagli abitacoli degli Starfighter F-104S alle aule delle Business School, è oggi il Presidente del Centro di Alti Studi della Difesa italiana), risulta il migliore su oltre trecento studenti provenienti da 49 Paesi, ottenendo il massimo punteggio in tutti i 13 corsi previsti dal programma di studio.  Era la prima volta, negli oltre ottanta anni di storia della Scuola, che uno straniero si aggiudicava il primo posto nella classifica finale del corso. La sua ricerca sulle forze della Riserva vince l’United States Army Association Award for Research Excellence, mentre la sua altra ricerca, vince lo “Strategic Vision Award”. Questa ricerca ha poi dato vita a questo libro, che si intitola “La leadership agile nella Complessità”, ed è edito per i tipi della Guerini.

Si tratta di un manuale che documenta nel dettaglio modelli, metodologie e applicazioni reali, collaudate sul campo, capaci di dare alla leadership leve e strumenti per il controllo e il miglioramento delle performance dei processi. Il primo aspetto del testo, che colpisce già scorrendo l’indice, è la sua straordinaria interdisciplinarietà, coltivata con “l’agilità cognitiva di chi percorre rotte che attraversano i diversi domini disciplinari”, come ha scritto Enrico Viceconte, presentandolo. Ma non è certamente un testo generico, o privo di specialismo, è piuttosto un lavoro che coniuga sapientemente lo specialismo di una materia con altre dimensioni del sapere, con discipline totalmente diverse dall’aeronautica e dalle scienze strategiche. Non si tratta quindi di un lavoro di scomposizione, ma di ricomposizione. “L’intelligenza che sa solo separare, spezza il complesso del mondo in frammenti disgiunti, fraziona i problemi, unidimesionalizza il multidimensionale. (…) Un’intelligenza incapace di considerare il contesto e il complesso planetario rende ciechi, incoscienti e irresponsabili.” Lo scrive il sociologo francese Edgar Morin, nel suo Una testa ben fatta. Riforma dell’insegnamento e riforma del pensiero (ed. Cortina, Milano 2000), dove spiega come la gigantesca torre di Babele del nozionismo sia buona soltanto per formare una “testa ben piena”, nella quale “il sapere è accumulato, ammucchiato, e non dispone di un principio di selezione e di organizza o che gli dia senso”. Un sapere realmente utile non può essere soltanto separazione, perché comprendere il reale serve soprattutto la capacità di ricomposizione ed interconnessione.

Per pensare la Leadership in un modo nuovo Giancotti e Shaharabani interconnettono idee e concetti provenienti da contesti culturali differenti, ma lo fanno in maniera assolutamente logica e coerente. Lo studio dei due autori infatti è una riflessione metodologica, più che una collazione di nozioni, e credo che andrebbe studiato nelle scuole di business e management, prima che nelle accademie militari. Il management non è una disciplina specialistica, un sapere isolato da tutti gli altri, ma è un insieme di domini di conoscenza (tra i quali ci sono discipline che hanno radici antichissime, come ad esempio la strategia militare) fortemente collegati tra loro.  Maggiori sono le connessioni che si riescono a creare, maggiori sono le opportunità di elaborare modelli nuovi ed efficaci. Apro una piccola parentesi autobiografica per ricordare che quando insegnavo all’Università dicevo ai miei studenti, che generalmente non erano militari e non studiavano scienze strategiche, che per ottenere un buon risultato all’esame dovevano leggere anche l’arte della guerra di Sun Tzu, o hagakure di Yamamoto Tsunetomo o Vom Kriege di Von Clausewitz, persino il Macbeth di Shakespeare. All’inizio del corso i ragazzi sembravano sempre abbastanza perplessi dal mio programma, ma solitamente con lo svolgersi delle lezioni e delle nostre discussioni ne apprezzavano l’interdisciplinarietà e comprendevano la necessità di mettere a confronto anche conoscenze che all’apparenza sono molto lontane, e poco pertinenti con la materia di studio. Studiare le forme ed i processi organizzativi senza mai fuggire dalla prigionia specialistica della “letteratura di genere” spesso si rivela un esercizio sterile, poco innovativo ed anche poco utile.

Le moderne organizzazioni complesse sono sempre più frequentemente costrette a confrontarsi con ambienti incerti, turbolenti ed instabili, fortemente competitivi e conflittuali. E’ per questa ragione che quando insegnavo sociologia delle organizzazioni e management consigliavo la lettura dei testi classici del pensiero strategico e filosofico, a chi volesse acquisire gli strumenti metodologi per orientarsi ed agire in situazioni di conflitto. La “metamorfosi della società mondiale del rischio” (Cfr. Ulrich Beck, La metamorfosi del mondo, La Terza editore, 2017), ha costretto la maggior parte delle organizzazioni complesse ad adattarsi ad un ambiente “cosmopolizzato” dalla rete internet e dalla globalizzazione dei processi economici, finanziari e politici. Gli “spazi d’azione costruiti in termini cosmopolitici” sono perennemente instabili, imprevedibili per definizione, ed impongono alle strutture organizzative logiche operative di funzionamento che assomigliano più ai processi biologici di un organismo vivente (sistema aperto) che a quelli meccanici di un congegno di ingranaggi (sistema chiuso). Non è un caso che la moderna teoria delle organizzazioni complesse abbia mutuato concetti e modelli analitici dalla teoria generale dei sistemi, che a sua volta li ha derivati dalla biologia (cfr. Ludwig von Bertalanffy).  Frederick Edmund Emery definì sistemi socio-tecnici quelle organizzazioni il cui interscambio con il contesto ambientale di riferimento è determinante nel definirne la struttura organizzativa. In essi uomini e macchine svolgono compiti integrati e non subordinati gli uni alle altre. Per questi sistemi non vi è un solo modello organizzativo possibile, esistano diverse modalità di conciliazione possibile tra le esigenze tecniche e tecnologiche e quelle del sistema. Questa intuizione apriva già la strada allo studio della leadership. Giancotti e Shaharabani la mettono al centro del loro lavoro, utilizzando lo strumento dello studio di caso, come facevano i grandi maestri della scuola francese. Alain Touraine (Evoluzione del lavoro operaio nelle officine Reanult, 1955) e Michel Crozier (Il fenomeno burocratico, 1963) hanno prodotto dei veri e propri “classici” della sociologia del lavoro e della teoria delle organizzazioni complesse studiando problemi di carattere generale attraverso l’analisi di casi specifici. “Nella nostra esplorazione della leadership” scrivono Giancotti e Shaharabani “abbiamo seguito sentieri che ci hanno condotto da idee che ci intrigavano a esperienze che hanno segnato le nostre vite personali e professionali e poi dalle esperienze di nuovo verso le idee”. Questa sequenza logica, che dal concetto astratto passa allo studio di caso concreto, per poi ritornare alla costruzione di un modello analitico astratto, permette di mettere a fuoco e di utilizzare come modello idealtipico la visione, la leadership, la cultura, i processi e la struttura organizzativa descritti da Giancotti e Shaharabani per lo Stormo da combattimento dell’aeronautica militare contemporanea. Ne deriva un modello analitico manageriale che può essere metodologicamente applicato a qualsiasi organizzazione costretta ad agire in contesti turbolenti, caratterizzati dalla massima incertezza ed imprevedibilità, come lo è uno Stormo da combattimento. Moltissime organizzazioni complesse, che in passato eccellevano per efficacia e efficienza nel loro settore, grazie all’efficienza dei modelli organizzativi di impostazione tayloristico fordista che adottavano, per sopravvivere ai cambiamenti dei mercati di riferimento hanno dovuto adattare la loro impostazione burocratica ai nuovi contesti instabili, evolvendo sotto la dittatura del loro task environment. Altre non ci sono riuscite, hanno progressivamente perso terreno e alla fine sono (sorprendentemente?) scomparse. La sociologia delle organizzazioni ha abbondantemente spiegato e documentato questo fenomeno, che caratterizza la contemporaneità.

 Il libro di Giancotti e Shaharabani è dunque un ottimo studio di sociologia delle organizzazioni, ben strutturato, che si pone l’obiettivo di fare un passo in più: proporre modelli nuovi per una leadership agile. Propone infatti chiavi di lettura e modelli operativi derivati dall’esperienza dei due autori nel contesto militare, da cui è possibile trarre strumenti metodologici ed organizzativi che sono applicabili facilmente ad organizzazioni complesse estranee all’ambito militare, sia nel campo della pubblica amministrazione che nel settore privato, industriale e commerciale.  

La prima parte del libro è centrata su leadership e complessità. “L’effetto farfalla” derivato dalla matematica e dalla fisica, la cui dipendenza sensibile alle condizioni iniziali è alla base della teoria del caos, mostra come, nei sistemi complessi, minimi cambiamenti in un luogo possono stabilire una rete di conseguenze inimmaginabili, in progressiva espansione, finché risultati imprevisti non compaiono in luoghi distanti nello spazio e nel tempo.  Partendo da questo concetto, e dall’attrattore strano di Lorenz, che mentre studiava i processi non lineari nella meteorologia individuò un ordine al di là del caos e ne costruì (attraverso i frattali) una rappresentazione grafica computerizzata, i nostri due autori arrivano ad analizzare i sistemi complessi adattivi (SCA). Definiti “sistemi aperti evolutivi non lineari, come la foresta tropicale, che processano e incorporano continuamente nuove informazioni”, i SCA sono sistemi aperti in cui gli elementi interagiscono in maniera non lineare, ma costituiscono un’entità organizzata e dinamica, capace di evolvere ed adattarsi all’ambiente.

Nel campo delle organizzazioni complesse appare in modo molto evidente che i SCA tendono verso una struttura gerarchica auto-organizzante, che produce generalmente un nuovo ordine, di livello superiore.  L’evoluzione dei sistemi autopoietici, operativamente chiusi (cfr. Humberto Maturana e Francisco Varela, De màquinas y seres vivos, 1972), avviene per mezzo della comunicazione (che è il solo contenuto reale e interno al sistema sociale) seguendo una logica autoreferenziale detta autopoiesi, che è la capacità di un sistema complesso di mantenere la propria unità e la propria organizzazione, attraverso le reciproche interazioni dei suoi componenti interni. L’adattamento all’ambiente in questa interpretazione è un sorta di ricostruzione di un nuovo order from noise (Niklas Luhmann, Sistemi sociali, 1984) che avviene per mezzo del processo comunicativo.  Partendo da uno stato stabile, che viene perturbato da fluttuazioni progressivamente amplificate, attraverso cicli di retroazione positivi, che si alimentano l’un l’altro, il sistema evolve verso un nuovo stato stabile, con un nuovo livello di complessità, definito Tipping Point, o punto di inflessione strategica. La maggior parte dei processi evolutivi del nostro mondo, dalla meteorologia ai comportamenti dei mercati, dalla fisiologia del cervello al funzionamento dell’ecosistema, possono essere descritti attraverso la teoria della complessità del caos (Cfr. James Gleick, Chaos: Making a New Science, 1987).  E’ qui secondo i nostri due autori, che partendo dalla storia dell’evoluzione dell’uomo sono passati alle teorie della complessità e del caos, che si pone il tema della leadership: “L’approccio antropologico alla leadership – scrive Giancotti – trova un’autorevole corrispondenza con il metodo militare odierno in un classico della sociologia militare: la monumentale ricerca degli anni Quaranta denominata The American Soldier. […] I risultati [della ricerca] mostrano che la motivazione nasce nelle dinamiche del piccolo gruppo, nei reciproci legami che legano un gruppo di umani insieme. Questi gruppi assomigliano nelle dimensioni a quelli che hanno battuto i territori di caccia per innumerevoli millenni, la cui coesione era fondata sulla necessità assoluta per ogni specie vivente: la sopravvivenza.” Sono infatti proprio le dinamiche dell’interazione e della collaborazione, nate nelle bande primitive, che fanno emergere la leadership come elemento di coesione, come riferimento per l’azione collettiva. Utilizzando un approccio sociologico di matrice relazionale si potrebbe definirla come relazione d’influenza tra leader e collaboratori, ancora più importante “quando abbiamo a che fare con organizzazioni molto più grandi del gruppo primario”. Questa relazione comunicativa produce il cambiamento (nuovo ordine) organizzativo in maniera autopoietica perché plasma la cultura organizzativa. Chiamiamo così quel corpus fatto di ethos e valori del team, che caratterizza l’oroganizzazione. Potremmo dire che la identifica (le fornisce identità), perché ne collega le finalità e gli obiettivi ad un modello culturale latente che vi attribuisce senso. La connessione tra goal attainment e latency (Talcott Parsons, Theories of Society, 1965), che caratterizza tutti i sistemi d’azione sociale, è una dimensione fondamentale nei moderni interventi di sviluppo organizzativo in azienda. Giancotti ne fa un esempio militare citando il corpo dei Marines, che affronta la problematica dell’integrazione tra le diverse sub-culture giovanili delle reclute. Quel programma di formazione ed integrazione che le aziende generalmente chiamano di “induction”, dall’US Marine Corps viene denominato il “crogiolo”, ma si tratta sostanzialmente della stessa cosa. L’Aeronautica Militare Italiana adotta il concetto di “rete di capi” come modello per l’accrescimento della capacità di misurarsi con la complessità.  Per affrontare problemi complessi con soluzioni adeguate, ed altrettanto complesse, si adotta la logica del “team of teams” che “spinge i leader strategici a guidare le unità a tutti i livelli in modo decentrato e tuttavia orientato nella direzione della leadership dell’organizzazione”. Un concetto, quello del “team of teams” evocato da Giancotti, che sta avendo uno sviluppo nell’ambito dei principi dell’agilità adottati nello sviluppo del software. Dunque la vecchissima rete dei capi, derivata da un’antica saggezza militare, trova applicazione in contesti avanzati nella forma di “team of teams”, quando è necessario avere un numero ristretto di leader per garantire la coesione. Certamente questa è una convergenza bizzarra, tra la dimensione del “manipolo” (che sta nel palmo di una mano) di antica origine militare (risalente alle preistoriche bande di cacciatori), e quella delle contemporanee imprese high tech, che richiedono uno sviluppo agile del software a livello di team. Allo stesso modo oggi anche strutture organizzative molto grandi provano ad estendere l’approccio di squadra, come Scrum, concentrato sulla fornitura di valore per il cliente giorno per giorno, all’approccio strategico per l’agilità di business a livello aziendale. Nello sviluppo agile del software, un team compatto di sviluppo è una auto-organizzazione, cross-funzionale. In questo modo si organizza l’attività di sviluppo con un overlapping disciplinato, questo consente di accelerare lo sviluppo del progetto e ridurre le perdite di informazioni tra le attività. In genere la squadra è abbastanza piccola (7 ± 2 persone). Si ritiene che andando oltre le 12-15 persone si perda la dimensione “manipolare”. La dimensione del cosiddetto sympathy group si considera ottimale in situazioni in cui è richiesta rapidità di risposta. Lo stretto coordinamento del comportamento è utile per produrre l’aiuto ed il conforto reciproco nei momenti di grave stress emotivo, come in guerra o nel raggiungimento di obiettivi di progetto particolarmente impegnativi (milestones).

La riflessione di Giancotti e Shaharabani in conclusione va a costruire un’architettura piuttosto complessa, ma poco complicata. Per sottolineare la necessità di produrre modelli nuovi gli autori, in apertura della terza parte del libro, citano l’ultimo leader dell’URSS, Michail Gorbacev: “Sarebbe ingenuo pensare che i problemi che affliggono oggi l’umanità possano essere risolti con i mezzi e i metodi che sono stati applicati o apparivano funzionare nel passato.” Il problema che si pone, sostengono i nostri autori, è colmare il divario tra la logica d’azione “ristretta” del piccolo gruppo, che interpreta la realtà attraverso emozioni e processi lineari, e la complessità di mega-organizzazioni che sono attraversate da un enorme flusso di informazioni, in un mondo che cambia continuamente e rapidamente. Oggi, che sempre più spesso potremmo dire che l’azione strategica è orienta dall’elaborazione di Big Data, analizzabili solo attraverso l’intelligenza artificiale, che elabora scenari ipotetici per mezzo di algoritmi predittivi, il modello CAL (Comprehendig-Acting-Leading), proposto dai due autori per affrontare le situazioni più incerte e rapidamente mutevoli, mi pare particolarmente utile. E’ un tentativo di fornire software logico che assista l’uomo nel colmare il divario tra l’incomprensibile analisi di una mole enorme di dati e la sua logica lineare, che è costretto ad utilizzare per valutare ogni sua scelta, insita nel concetto di “razionalità limitata” del processo decisionale, magistralmente descritta da Herbert Simon (H. Simon, Administrative behavior; a study of decision-making processes in administrative organization, 1947). Senza strumenti metodologici finalizzati a questo scopo non rimarrebbe che rassegnarsi all’inutilità della decisione umana, ed affidarsi completamente all’automatismo della decisione affidata alle macchine, sulla base dell’analisi computerizzata di informazioni inaccessibili al cervello umano. Ma svuotare di umanità la decisione avrebbe la conseguenza tragica ed eticamente inaccettabile di deresponsabilizzare l’uomo, e rinunciare alla prevalenza dei giudizi di valore sui giudizi di fatto che dovrebbe caratterizzare ogni decisione strategica. Il Ciclo CAL è un metodo cognitivo sistematico per assistere i capi nel trattare la complessità e l’incertezza. “Spinge il leader a ricercare la visione d’insieme e allo stesso tempo scandire l’ambiente per percepire sfide tattiche e nuovo tendenze, per comprendere le influenze estere ed essere focalizzato su Missione e Visione prospettiva all’interno” (cfr. p127) Lo scopo del modello proposto è spingere i capi ad assumersi responsabilità, prendere l’iniziativa e mitigare i rischi. E’ un metodo logico di analisi-sintesi che aiuta il leader a avere un approccio d’insieme e d’iniziativa, ed agire in accordo con le finalità organizzative. Il ciclo è fatto di sei fasi principali, che  gli autori definiscono cuore ed anima del processo decisionale del leader: Comprendere, Inventare, Identificare, assegnare Priorità, Implementare e Rivalutare. In conclusione, ed è questo a mio avviso il contributo più significativo della riflessione di Giancotti e Shaharabani, la leadership è una funzione umana, insostituibile e non delegabile. Oggi più di ieri si avvale di strumenti e capacità di calcolo che rendono intelligibili informazioni contenute in una mole impressionante di dati, che possono essere elaborati da macchine, ma richiedono alla fine decisioni che comportano capacità di giudizio e valutazione etica. Richiede capacità che la macchina non ha, usa la macchina per disporre di elementi di valutazione, ma assume responsabilmente decisioni. Assolvere bene a questo compito non è semplicemente l’espressione di una dote innata, ma è l’esito di un processo e di una capacità che può e deve essere acquisita, quindi imparata ed addestrata. Leadership agile nella complessità è un’opera che mette a fuoco molte tematiche, concentrandosi sempre sull’essenziale, senza eccessiva prolissità di linguaggio o di dettaglio. Una lettura senz’altro consigliata a chi voglia acquisire strumenti culturali e manageriali per affrontare con migliore probabilità di successo le sfide insidiose e rapidamente mutanti del mondo odierno, sempre più complesso, perché globalizzato.

Alberto Pagani


Immagine interna la copertina del libro


 

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