Epidemic intelligence: una risorsa per contrastare le epidemie e fronteggiare le emergenze. Cosa ci insegna il “modello Covid”?

Da marzo continuiamo a lottare con un virus che continua a mietere vittime e ad indebolire il nostro sistema economico. Sicuramente la pandemia da Covid-19 ha fornito, a nostro malgrado, anche un modello di studio del comportamento umano di fronte alle emergenze di portata nazionale.

Il modello intelligence è definibile come una raccolta di informazioni, analizzata e contestualizzata per l’ottenimento di previsioni (Hungbank, 2010). L’applicazione di questo metodo alla salute pubblica si esprime nella disciplina dell’epidemic intelligence (Bowsher et al., 2016). Essaè un sistema di analisi che comprende tutte le attività volte all’identificazione precoce dei rischi in sanità pubblica, alla loro valutazione, validazione ed indagine, finalizzate alla creazione di raccomandazioni e a misure di controllo per la salute comune. Essaintegra una componente basata su indicatori con una componente basata sugli eventi. Le principali fonti di informazione sono rappresentate dalla sorveglianza clinica, dalla sorveglianza sindromica, dalla sorveglianza comportamentale e dalla sorveglianza sui dati non umani (Bohigas, O’Connor e Coulombier, 2009).

Per il campo di analisi della sicurezza e della difesa le procedure importanti sono rappresentate dalle funzioni rapide di sorveglianza basate sulle situazioni che possono dare un segnale di un evento acuto (cd. evento sentinella) di rilevanza per la salute pubblica, creando un’allerta e determinando un’azione tempestiva. L’importanza dell’epidemic intelligence è riconosciuta globalmente ed è centrale nella componente di sorveglianza dell’International Health Regulations (2005) per proteggere la comunità globale dai rischi per la salute pubblica e dall’emergenze che attraversano i confini internazionali (WHO, 2005). 

Le prime analisi sono quelle delle fonti aperte come i quotidiani online, siti web ufficiali o meno di informazione o social network. Secondo una review effettuata da Yan et al (2017) ci possono essere delle discrepanze tra la ricerca internet-based e i referti ufficiali dei Paesi in termini di tempistiche. Questo potrebbe portare dei ritardi nelle rilevazioni anche se generalmente le differenze non sono significative. Secondo uno studio effettuato da Rotureau et al (2007) le differenze di notifica invece possono essere notevoli come 1 mese e 19 giorni per il sistema GPHIN e due mesi e 4 giorni per Pro-MED-mail. In altri casi HeatlhMap invece è riuscito a raccogliere informazioni 12 giorni prima delle fonti ufficiali come nel caso di H1N1 (Brownstein et al, 2010), o con differenze insignificanti (Chunara et al, 2012).  L’accuratezza dei dati ricavati da fonti open source o social media sembra, secondo la review di Yan, compatibile con quella rilevata dalle fonti ufficiali. 

I dati vengono analizzati da un gruppo di esperti (dati – filtro), interpretati, e catalogati in un’analisi del rischio dove viene individuata la rilevanza per il contesto nazionale o regionale.

Questo approccio, utilizzato dalla World Health Organization (WHO) nasce per contrastare e limitare sul nascere focolai infettivi che possono evolvere in carattere epidemico o pandemico. 

Severità di malattia, modello di trasmissione e capacità di diffusione, difficoltà della diagnosi e controllo, l’attenzione della politica e dei media o la possibilità di un rilascio intenzionale come nel caso del bioterrorismo sono tra i criteri utilizzati per valutare gli indicatori.

Ad esempio in uno studio condotto da Wilburn et al (2019) viene mostrato come il sistema dell’epidemic intelligence abbia rilevato precocemente i focolai di Ebola nel periodo 2014-2016 nell’Africa Occidentale, i casi di Zika nella Polinesia Francese nel 2013 ed in New Caledonia, oppure nel 2015 in Brazile. Stessa cosa per quanto riguarda i focali di MERS in Arabia Saudita (2012) o del colera in Iraq (2015).

Attualmente ci sono diversi focolai potenzialmente attivi nel mondo che vengono seguiti dagli organi europei.

In Europa presso l’ECDC l’analisi viene portata avanti da diversi team operanti nel centro operativo di emergenza. Oltre agli epidemiologi impegnanti nella sorveglianza delle malattie, sono presenti specialisti in malattie del viaggiatore e microbiologi. Un team di esperti della comunicazione valuta l’impatto sulla salute pubblica e si coordina con la Commissione Europea per una comunicazione ai Paesi membri (Bohigas, O’Connor e Coulombier, 2009).  

L’ECDC utilizza un modello logico di Preparedness (Soto et al. 2017) basato sull’analisi della capacità e delle abilità di ogni singolo paese membro della EU di far fronte a pericoli cross-border (Decisione n 1082/2013/EU).

Esso tiene conto, tra altri indicatori, dei sistemi presenti nel territorio nazionale per riconoscere un rischio epidemico, della quantità e capacità dei suoi laboratori di analizzare eventuali virus o batteri. Valuta l’abilità nell’identificare i casi ed i contatti (epidemiological investigation – surveillance and epidemiological monitoring), di monitorare l’impatto della contaminazione nell’ambiente. Valuta le risorse interne di un paese in termini di personale formato e capacità di produrre dispositivi di protezione e di prevenzione compresa la capacità di produrre eventuali vaccini o farmaci.

Per quanto concerne il SARS Cov2 è stato classificato come un’emergenza pubblica di interesse internazionale il 30 gennaio 2020. È stata definita come pandemia dalla WHO l’11 Marzo del 2020 e classificato come patogeno del “Gruppo 3” comportando un alto rischio per la comunità dovuto ai suoi effetti sulla salute e sull’economia globale (Rodriguez-Morales, et al., 2020; Schrὂder et al., 2020; Sohrabi et al., 2020).

Secondo Ibrahim (2020) diversi fattori hanno concorso nella pandemia del Covid-19:

  • La diffusione globale del nuovo Sars Cov2 senza una precedente esposizione all’essere umano o un’immunità;
  • La tipologia di virus ad RNA esibisce alte mutazioni che permettono una rapida diversificazione che possono generare anche mutazioni non letali;
  • La sua capacità di trasmissione è elevata
  • Non esisteva un effettivo trattamento o vaccino.

Tra gli indicatori del modello logico di Prepardeness dell’ECDC un ruolo rilevante a mio avviso, da un punto di vista psicologico, per poter ottenere un risultato finale, può essere attribuito alla capacità di comunicazione e coordinazione con il sistema sanitario nazionale, da parte dei decision maker e da questa con la comunicazione dell’emergenza con la comunità (Emergency Risk Communication)

L’analisi del modello comportamentale, anche in caso di attacco biologico

Ben sessantotto anni fa, nel 1952 Langmuir e Andrews elencarono gli eventi che potevano realizzarsi davanti ad un possibile attacco biologico: le attività mediche routinarie sarebbero potute andare in sofferenza “medical care facilities would be grossly overtaxes early in the pandemic”, inoltre “By trial and error, physicians would learn which drugs, if any, were more effective; but in the process many casualities would not receive the correct therapy”. La paura e la scarsa consapevolezza dei primi tempi avrebbero potuto innescare reazioni comportamentali alterate “fear, resulting from lack of understanding, and poor public information services, might well lead to hysterical reactions on the part of provate citizens and pubblic officials”.  I danni a lungo termine, ipotizzati dagli autori possono essere quelli della compromissione del tessuto industriale essenziale o la creazione di un’isteria generalizzata minando il morale pubblico (Langmuir e Andrews, 1952).  La tesi di base degli autori è che se tutto questo accade è dovuto alla mancanza di un piano gestionale delle emergenze in termini di attacco biologico e che un attento piano di informazione pubblica deve essere messo in campo per informare i cittadini sui dati reali, sulle misure prese e sulle responsabilità individuali (Langmuir & Andrews, 1952).

A ben leggere le parole scritte dai due autori non possiamo notare che tutto quello descritto, anche se in un contesto diverso, come possibilità si è concretizzata, per lo meno in una prima fase dell’epidemia ed in parte nella seconda.

Il modello Covid: ovvero lo stress test del nostro sistema

Da un punto di vista dell’agente il virus presenta un’alta contagiosità, ma una bassa mortalità, facendo si che gli asintomatici siano liberi di muoversi molte volte inconsapevolmente. La letalità avviene in popolazioni maggiormente a rischio, ma il sovraccarico degli ospedali fa in modo che il sistema sanitario non possa rispondere più alle esigenze ordinarie. Il metodo di contagio è quello del tipico raffreddore per cui semplice da trasmettere e nella maggior parte dei casi i sintomi sono simili all’influenza, facendo nell’opinione pubblica poca paura, perché l’esperienza con l’influenza stagionale è molto comune ed in molti casi non comporta rischi per la salute. L’assenza di una cura determina che l’unico modo di contrastarlo sia il distanziamento sociale, facendo in modo che questo abbia una ripercussione sulla vita delle zone colpite.

Gli effetti sulla popolazione sono quelli che oramai conosciamo, la letalità è spesso relegata alla popolazione anziana o pluripatologica con percentuali molto basse nelle fasce di popolazione più giovani o in buono stato di salute.

Il sistema dell’epidemic intelligence, allo stato attuale non è chiaro se abbia del tutto funzionato. Sicuramente si sul piano teorico, ma di fatto sono sollevabili alcuni dubbi in merito all’organizzazione e alla comunicazione, nonché, se fosse confermata la presenza già prima dei casi famosi di Whuan, sulla stessa circolazione del virus.  L’analisi ed il sistema di controllo dei casi ha fatto in modo che il patogeno fosse identificato nei primi pazienti europei e che fossero organizzate subito le prime difese. La WHO ha messo sotto osservazione il Paese in cui si sono manifestati i casi. Nelle analisi delle fonti aperte, però, si denota un primo possibile vulnus: se abbiamo uno Stato che controlla in maniera completa l’informazione, compresa quella dei social network l’identificazione di casi potrebbe essere molto più difficile e ritardata, oppure naturalmente falsata. La reperibilità di informazioni sia ufficiali che non sta alla base dell’analisi dell’epidemic intelligence, così come il libero scambio di informazioni tra ricercatori e clinici, e questo rappresenta sicuramente un primo vulnus del sistema.

Problema n° 1: la gestione politica a livello europeo.

Il 28 gennaio la Presidenza del Consiglio UE ha attivato gli IPCR in modalità di condivisione delle informazioni. L’allora Presidenza Croata ha deciso di attivare il meccanismo dei dispositivi integrati dell’UE per la risposta politica alle crisi (IPCR) in modalità “condivisione delle informazioni”.[1]

Gli IPCR costituiscono il quadro dell’UE per il coordinamento di crisi intersettoriali. Tramite questo meccanismo, la Presidenza del Consiglio coordina la risposta politica alle crisi al più alto livello.

La Commissione e il Servizio Europeo per l’Azione Esterna (SEAE) elaborano relazioni periodiche di analisi e conoscenza situazionale che vengono poi condivise con gli Stati membri grazie a una piattaforma web dedicata.

Dopo i casi del Nord Italia e dopo la rilevazione di altri casi negli Stati Membri il 2 marzo 2020 vengano attivati i meccanismi IPCR a livello full mode. Il Full Mode ha permesso di creare risposte elaborate e concrete e coordinate tra gli Stati.[2] La modalità Full Mode è tutt’ora in essere e a livello europeo è attiva l’interazione tra i Ministeri della Salute dei singoli Stati per le risposte coordinate.

Nonostante però quello programmato sia nei IPCR sia nel modello di Prepardeness dell’ECDC, le decisioni politiche sono state molto spesso nazionali e non comunitarie, creando differenze tra i paesi dell’Unione, soprattutto nella prima ondata. La non coordinazione, auspicata ha rappresento un secondo vulnus nella possibilità di ridurre gli spostamenti, le interazioni, gli scambi commerciali facilitando il trasferimento dell’elemento patogeno.

È estremamente necessario avere sempre delle politiche europee coordinate e non affidate alla sensibilità dei singoli governi degli Stati Membri. I confini geografici non sono sovrapponibili ai confini politici e determinate minacce possono essere contrastate solo se inserite in una politica europea condivisa e attuata.

Un ulteriore vulnus è stata la mancanza di produzione di dispositivi di protezione individuale sul proprio territorio nazionale. Da questo punto vista il “Modello Covid” ha evidenziato che la produzione di alcuni beni deve essere oggetto di interesse nazionale e che in questo caso ne va della sicurezza nazionale, declinata come capacità di far fronte ad una emergenza sia sanitaria che economica.

Problema n° 2: Il problema informativo

L’informazione è stata, soprattutto nella prima ondata, molto frammentata, confusa e ridotta spesso ai dati dei contagi e dei decessi. Si è cercato di provare a spiegare in parole semplici un problema molto complesso.

Nell’indicatore Communication with healthcare providers del modello ECDC la comunicazione viene intesa come “communication between public health agencies and healthcare providers, especially regarding surveillance protocols, prevention and treatment guidance, and other matters, to ensure coordination of prevention and treatment effort”. In Italia, spesso è stato affermato che, i pareri contrastanti tra virologi ed esperti hanno creato confusione su quali fossero le reali potenzialità del virus[3] [4][5]. Anche in questo periodo spesso si continuano a sentire pareri contrastanti. Questo comporta un enorme vulnus nella trasmissione dell’informazione e di conseguenza nella sicurezza.

In uno studio effettuato da Kim e Kreps (2020) sul sistema di comunicazione del Governo americano durante la pandemia da Covid-19 si afferma che la “cacophony of communication errors not only indicates the failure of goverment systems,…but also drastically increases public fear and confusion about the Covid-19 risk”. Nel loro studio hanno dimostrato che il ruolo della comunicazione governativa è cruciale per promuovere la risposta preventiva e ridurre i rischi di infezione. La mancanza di attenzione agli appelli alla sicurezza che provenivano dagli altri Paesi già contagiati ha fatto in modo che non ci fosse una preparazione sufficiente per contrastare l’ondata infettiva. La mancanza di consultazione orizzontale tra gli expertise interni, ma il rigido sistema meccanicistico utile per le situazioni normali ha comportato un ritardo nella capacità di prendere decisioni rapide contro un nemico che invece si muoveva rapidamente. L’essere umano è naturalmente portato a seguire le indicazioni che trova maggiormente in linea con le sue credenze. Il problema principale è che le sue credenze possono essere sbagliate, o influenzate da bias cognitivi. Se sono un soggetto che ritiene la mascherina non utile alla prevenzione del virus e sento un esperto che afferma che in effetti non sono utili, rispetto a chi invece le ritiene fondamentali, tenderò a dare ascolto a chi conferma ciò che già penso piuttosto che attivare un’analisi cognitiva dell’informazione che potrebbe portare a farmi cambiare idea. Mettersi in discussione non è un processo psicologico semplice e soprattutto non sempre porta ad un cambiamento degli atteggiamenti verso una credenza. Il non controllo del flusso informativo o l’”infodemia” prodotta anche da persone esperte acuisce l’insicurezza. Da un punto di vista psicologico detiene una rivelante importanza il concetto della “credibilità” della fonte, basandosi su la definizione di Hovland e Weiss (1951) la quale si identifica come “una caratteristica attribuita alla fonte quando si suppone abbia una conoscenza approfondita di un dato tema e sia affidabile in quanto dice la verità sul tema in questione[6]. Il problema nasce però quando non sono ritenuti attendibili gli esperti. Fermo restando che sarebbero necessari studi specifici approfonditi per valutare se il parere degli esperti possa o meno influenzare il comportamento delle persone in merito a comportamenti virtuosi per la riduzione del rischio, non possiamo non considerare se abbiamo avuto effetto o meno gli strumenti e i modelli di comunicazione utilizzata. Nel “modello Covid” è giusto chiedersi c’è un effetto positivo in questa modalità di comunicazione, o per lo meno se ci fosse un problema di sicurezza per la popolazione civile, quello adottato è il migliore?

Questa domanda ci porta a discutere di un altro punto previsto dal modello ECDC ovvero la “Address communication inequalities” intesa come l’”ability to address differences across population groups regarding how the message is received, processed and acted on, due to diverse socioeconomics and cultural characteristics of the population affected by the emergency” (Stoto et al, 2017). Molte persone acquisiscono le prime informazioni dai media. Il livello di percezione del rischio varia da individuo ad individuo, alcuni potrebbero percepire i primi report come più severi e sentirsi personalmente coinvolti, mentre altri li potrebbero percepire come meno gravi (Kim e Kreps, 2020). Secondo diversi ricercatori la percezione del rischio è influenzata da diversi fattori come l’età, il genere ed il livello educativo ed essere stato esposto a precedenti esperienze. La raccolta delle informazioni oggigiorno avviene da diverse fonti (information overload) per il singolo cittadino e questo rende molto difficile gestire l’informazione in maniera corretta e lascia molta libertà nel formulare le opinioni che non è detto siano corrette. Shine e Thorson (2017) hanno dimostrato che quando un individuo è esposto a molte informazioni, anche contrastanti è meno capace di scegliere l’informazione giusta tra le molte proposte soprattutto se sono anche politicizzate, almeno che non abbia una formazione di base che lo sostiene.

Ulteriore problema che abbiamo notato e che come avviene quando le situazioni sono complesse molte persone hanno bisogno di trovare risposte semplici. In accodo con il CDC field epidemiology manual e come riportato da Gentili et al (2020) le persone accettano i rischi quando sono presenti determinate caratteristiche come quando l’accettazione del rischio è volontaria, è sotto il loro controllo, ha chiari benefici. Quando invece è imposto, controllato da altri o nuovo elicita reazioni contrastanti (Gentili  et al., 2020).  Nel secondo caso c’è la possibilità che si strutturino pensieri totalmente discordanti ed in contrasto con le indicazioni delle istituzioni costituendo un ulteriore problema da gestire. Ultimo ma non meno importante il problema economico, già ipotizzato da Langmuir e Andrews (1952) che acuisce le risposte negative alla corretta gestione del problema, rischiando di trasformarsi in un problema di ordine pubblico.

Conclusioni

La pandemia da Covid-19 ha messo in evidenza i problemi relativi al nostro stile di vita e alla nostra vulnerabilità a determinate minacce ed è, tutt’ora, uno stress test per il sistema paese. Questa tipologia di minaccia ha avuto successo nel manifestare i problemi e gli errori, specialmente nel campo della comunicazione sia politica che nei media, che dal canto loro potrebbero averne facilitato, indirettamente la diffusione. Per quanto si possano valutare i fatti e si possa da domani costruire un sistema di gestione e difesa più efficace sia a livello politico che comunicativo, resta il fatto che la premessa di base è che le persone si basano sull’idea, decisamente falsata, che questa epidemia di origine naturale è per definizione controllabile. Siamo molto abituati a pensare che l’uomo possa in qualche modo controllare la natura. Basti notare la differenza di comportamento e di risposta comunitaria tra la prima e la seconda ondata. Nella prima era percepito  un pericolo imminente e sconosciuto, la popolazione aveva paura, si temeva una mortalità elevata, gli operatori sanitari erano degli eroi. Nella seconda ondata, la crescente insofferenza per le restrizioni, anche se accettate nella maggior parte dei casi, sommata alla crisi economica, hanno dato un quadro comportamentale molto diverso.  La percezione del rischio è stata diversa? La paura e l’ansia sono state meno manifeste?  Probabilmente  con il passare del tempo con i morti collegati in molti casi a persone pluripatologiche o anziane, con la significativa quota di asintomatici, la paura, la percezione del rischio sono venute significativamente meno per molti soggetti ed hanno anche lasciato spazio a pensieri di eccessiva controllabilità, ed in taluni casi, al proliferare di teorie complottistiche. Il fattore tempo è sicuramente un nemico della corretta gestione. Ad oggi con il vaccino ci sono armi più concrete per contrastare la pandemia, ma il prolungarsi della difficoltà organizzative potrebbe essere un vulnus per una massiccia adesione alla vaccinazione. La storia ci ha insegnato che anche diversi episodi legati all’azione dell’uomo spesso cruenti ed efferati effettuati sul suolo europeo, come gli attacchi terroristici, hanno avuto effetto sulla popolazione per un periodo di tempo relativamente ridotto per poi lasciare spazio alla voglia di normalità. Per cui la voglia di normalità, anche in questo caso, potrebbe essere il maggior rischio per la corretta gestione della pandemia. Cosa ci dovremmo aspettare in una eventuale terza ondata dal punto di vista comportamentale?

            Indipendentemente dalle critiche e dai dubbi resta il fatto che una maggiore preparazione deve essere sistematizzata a livello sia europeo che globale perché le minacce ci sono e ci saranno sempre, ma ci sono anche gli strumenti che vanno saputi usare e gestire.

David Simoni Ph.D.

BIBLIOGRAFIA

Bohigas, P. A., Santos-O’Connor, F., & Coulombier, D. (2009). Epidemic intelligence and travel-related diseases: ECDC experience and further developments. Clinical microbiology and infection, 15(8), 734-739

Brownstein, J. S., & Freifeld, C. C. (2007). HealthMap: the development of automated real-time internet surveillance for epidemic intelligence. Weekly releases (1997–2007), 12(48), 3322.

Brownstein, J. S., Freifeld, C. C., Chan, E. H., Keller, M., Sonricker, A. L., Mekaru, S. R., & Buckeridge, D. L. (2010). Information technology and global surveillance of cases of 2009 H1N1 influenza. New England Journal of Medicine, 362(18), 1731-1735.

Chunara, R., Andrews, J. R., & Brownstein, J. S. (2012). Social and news media enable estimation of epidemiological patterns early in the 2010 Haitian cholera outbreak. The American journal of tropical medicine and hygiene, 86(1), 39-45.

Do Kyun David Kim, G. L. Kreps. An Analysis of Government Communication in the United States During the COVID‐19 Pandemic: Recommendations for Effective Government Health Risk Communication. World Medical & Health Policy.

Gentili, D., Bardin, A., Ros, E., Piovesan, C., Ramigni, M., Dalmanzio, M., … & Cinquetti, S. (2020). Impact of communication measures implemented during a school tuberculosis outbreak on risk perception among parents and school staff, Italy, 2019. International journal of environmental research and public health, 17(3), 911.

Hughbank, R. J., & Githens, D. (2010). Intelligence and its role in protecting against terrorism. Journal of Strategic Security, 3(1), 31-38.

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Rodriguez-Morales, A. J., Cardona-Ospina, J. A., Gutiérrez-Ocampo, E., Villamizar-Peña, R., Holguin-Rivera, Y., Escalera-Antezana, J. P., … & Paniz-Mondolfi, A. (2020). Clinical, laboratory and imaging features of COVID-19: A systematic review and meta-analysis. Travel medicine and infectious disease, 101623.

Rotureau, B., Barboza, P., Tarantola, A., & Paquet, C. (2007). International epidemic intelligence at the Institut de Veille Sanitaire, France. Emerging infectious diseases, 13(10), 1590.

Schröder, I. (2020). COVID-19: A Risk Assessment Perspective. ACS Chemical Health & Safety.

Sohrabi, C., Alsafi, Z., O’Neill, N., Khan, M., Kerwan, A., Al-Jabir, A., … & Agha, R. (2020). World Health Organization declares global emergency: A review of the 2019 novel coronavirus (COVID-19). International Journal of Surgery.

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Stoto, M. A., Nelson, C., Savoia, E., Ljungqvist, I., & Ciotti, M. (2017). A public health preparedness logic model: assessing preparedness for cross-border threats in the European region. Health security, 15(5), 473-482.

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Wilburn, J., O’Connor, C., Walsh, A. L., & Morgan, D. (2019). Identifying potential emerging threats through epidemic intelligence activities—looking for the needle in the haystack?. International Journal of Infectious Diseases, 89, 146-153.


NOTE

[1] https://www.consilium.europa.eu/it/policies/coronavirus/timeline/ visitato in data 04 Dicembre 2020

[2] https://www.consilium.europa.eu/en/policies/ipcr-response-to-crises/ visitato in data 04 Dicembre 2020

[3] https://www.repubblica.it/cronaca/2020/02/23/news/coronavirus_scienziati_burioni_gismondo_capua-249384299/

[4] https://www.ilfattoquotidiano.it/2020/07/22/sul-coronavirus-i-virologi-ne-hanno-dette-tante-ma-a-volte-farebbero-meglio-a-tacere/5876358/

[5] https://www.lastampa.it/topnews/primo-piano/2020/11/30/news/covid-i-12-virologi-che-diventano-influencer-ecco-la-classifica-dei-piu-attendibili-e-coerenti-1.39601916

[6] Traduzione di Cavazza N. (2017) La persuasione. Il Mulino editore


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