Il ritorno di ebola in Guinea e Repubblica Democratica del Congo

Mentre in tutto il mondo continua la lotta contro la pandemia da Covid-19, in Africa torna anche la minaccia di Ebola. Il punto sulla situazione in Guinea e Repubblica Democratica del Congo

Il 18 novembre 2020, l’Organizzazione Mondiale della Sanità ha ufficializzato la conclusione dell’ undicesima epidemia di ebola nella Repubblica Democratica del Congo. Lo sforzo della WHO, dei suoi partner e delle comunità locali è risultato premiante portando alla vaccinazione di oltre 40000 persone e alla conseguente interruzione dell’epidemia di un virus che, come abbiamo avuto modo di sapere soprattutto tra il 2014 e il 2016, ha un altissimo tasso di mortalità. Circa tre mesi dopo però, in Guinea e ancora una volta in Congo, sono stati riscontrati alcuni casi che hanno suscitato nuovamente preoccupazione.

Il 7 febbraio 2021, a Butembo (Repubblica Democratica del Congo), uno degli epicentri dell’epidemia appena debellata, è stato riscontrato un nuovo caso di ebola con la vittima che è risultata essere la moglie di un fattore guarito tempo addietro e risultato negativo agli ultimi controlli effettuati a ottobre e novembre scorsi. Gli epidemiologi dell’Organizzazione Mondiale della Sanità, impegnati sul posto, hanno invitato alla calma, in quanto è normale che possa esserci qualche sporadico caso sebbene l’epidemia risulti debellata, ma hanno comunque proceduto a identificare i vari contatti e a sanificare eventuali luoghi visitati dalla paziente. Pochi giorni dopo, il Ministro della Salute della Repubblica Democratica del Congo Eteni Longondo, ha dichiarato la dodicesima epidemia di ebola anticipando l’ufficialità di altri due casi (anch’essi provenienti dall’area di Butembo). Ad oggi, i casi totali sono 7, tutti concentrati nella provincia del Kivu Nord.

Nei medesimi giorni, in Guinea, a circa 2000 chilometri dalla Repubblica Democratica del Congo, il Ministro della Salute Rèmy Lamah ha ufficializzato anch’egli un’epidemia di ebola. A differenza di quanto sta accadendo nella già citata provincia del Kivu Nord però, in Guinea l’ultimo caso di ebola risaliva al 2016, prima che venissero confermati tre casi (tutti nella comunità rurale di Gouèkè, prefettura di Nzerekore) che hanno riacceso la preoccupazione. Il primo caso ha riguardato un’ infermiera lo scorso 28 gennaio e, fra le persone che hanno presenziato al suo funerale, altre due sono decedute e altre quattro sono ricoverate in ospedale con sintomi compatibili con ebola. La diffusione dei casi in Guinea ha preoccupato molto l’Organizzazione Mondiale della Sanità, la quale, stando alle dichiarazioni del suo Direttore per il continente africano Matshidiso Moeti, effettuerà test, si impegnerà nel tracciamento e fornirà facilities per trattare i casi. Inoltre, anche il Presidente statunitense Joe Biden ha ribadito che il mondo non può ignorare la situazione in Africa Occidentale e in Africa Centrale, invitando a fare tutto il possibile affinchè l’epidemia rimanga circoscritta e non si espanda altrove, rafforzando la cooperazione con i paesi interessati e i paesi limitrofi. Ad oggi, infatti, i casi di ebola in Guinea sono in crescita, e non risultano più circoscritti alla comunità di Gouèkè, ma sono stati confermati anche nella prefettura di Kankan (1) e nella capitale Conakry (1) per un totale, sinora, di 8. Non è da trascurare infatti che l’epidemia che ha piagato l’Africa Occidentale tra il 2014 e il 2016 partì proprio dalla Guinea paese che, per collocazione geografica, confina con diversi stati. Si segnala inoltre che i casi fin qui diagnosticati si sono verificati in  aree abbastanza vicine ai confini con Sierra Leone, Liberia e Costa d’Avorio.

La maggiore criticità per quanto riguarda la malattia da virus ebola è l’alto tasso di mortalità tra le persone infette (tra il 50 e il 70%) e dal suo diffondersi nelle aree più povere e con condizioni igienico-sanitarie precarie. Sulla trasmissibilità, inoltre, per quanto ancora oggetto di studio, è assodato che il contagio avvenga mediante contatto (anche tramite epidermide) con sangue o altri fluidi corporei (nello sperma umano può permanere anche oltre 50 giorni dopo la guarigione) mentre si esclude che possa avvenire per via aerea. La malattia presenta una sintomatologia particolarmente dolorosa ma non immediatamente riconoscibile in quanto inizia quasi sempre con cefalea, vomito e diarrea per finire con emorragie interne e/o esterne che causano la morte del paziente e che portarono all’originaria denominazione di EHF (Ebola Heamorrhagic Fever), ora sostituita con EVD (Ebola Virus Disease).

Per quanto concerne la risposta e il contrasto alla diffusione di ebola, bisogna innanzitutto dire che rispetto alle precedenti epidemie – e in particolare rispetto a quella 2014-2016, con circa 29000 casi confermati e quasi 11500 decessi in dieci paesi – la scienza medica e le politiche sanitarie hanno fatto decisamente passi da gigante riducendo nettamente la possibilità di diffusione del virus grazie al vaccino, alle cure e alla collaborazione sul territorio tra gli epidemiologi dell’Organizzazione Mondiale della Sanità e le varie realtà politiche e sanitarie locali. Nello specifico, sia in Guinea che nella Repubblica Democratica del Congo sono giunti approvvigionamenti di vaccini, con conseguente inizio della campagna vaccinale che si auspica possa dare in tempi brevi un’ampia copertura, vista anche la compresenza della pandemia di SARS-CoV-2.

L’OMS ha riferito che in Congo, dopo una settimana dalla ricomparsa del virus, sono riprese le operazioni di vaccinazione della popolazione ma, secondo le dichiarazioni del Dr Eugene Syalita, Ministro provinciale della Salute per il Kivu Nord, alcune famiglie rifiutano di adottare le misure sanitarie consigliate (evitare ogni tipo di contatto con i malati, evitare il lavaggio dei cadaveri) e, in certi casi, arrivano addirittura a negare l’esistenza stessa di ebola nonostante l’ultima epidemia nel paese abbia causato 55 morti su 130 contagiati. A complicare ulteriormente le operazioni in Repubblica Democratica del Congo concorrono anche fattori geopolitici. Come infatti testimonia la recente tragedia che ha visto coinvolto l’ambasciatore italiano Luca Attanasio, il carabiniere Vittorio Iacovacci e l’autista Mustapha Milambo, l’area del Kivu Nord è da più di vent’anni zona di forte instabilità politica, nonché innervata da una costante emergenza umanitaria. Secondo quanto riferito dal Baromètre Sécuritaire du Kivu – che ha il compito di tracciare la presenza e le azioni dei miliziani presenti nell’area – sarebbero presenti, nella sola provincia del Kivu Nord, 45 diversi gruppi armati, in un caos geo-strategico che rende incontrollabile e altamente pericolosa l’area in questione. 

In Guinea, il 23 febbraio – con un ritardo di 24 ore dovuto a una tempesta di sabbia – sono giunte all’aeroporto di Conakry le prime 11000 dosi di vaccino trasportate da un volo speciale dell’OMS. Le stesse sono state poi inviate nell’attuale epicentro dell’epidemia (prefettura di Nzerekore) dove avrà inizio la campagna vaccinale. Si attende inoltre l’arrivo di altre 8700 dosi provenienti dagli Stati Uniti, che testimoniano l’impegno nel voler contrastare ogni probabile focolaio epidemico nell’area. Nel paese la presenza dell’Organizzazione Mondiale della Sanità è ben radicata, e, sebbene i nuovi casi destino preoccupazione, sono in corso operazioni di tracciamento e di monitoraggio dei flussi di persone anche verso i paesi confinanti che si auspica possano contenere il più possibile la diffusione del virus. Allo stesso tempo, il presidente della confinante Liberia, George Weah, ha assicurato il proprio impegno nel contrastare proattivamente ogni forma di diffusione al fine di evitare quanto già accaduto nel 2014.

Si profila quindi l’ennesima sfida sanitaria in Africa, con la comunità internazionale, i governi, i sanitari e le organizzazioni non governative che dovranno fare in modo di cooperare e collaborare affinchè un’area già affetta da gravi problemi politici, economici e sociali non debba fare i conti con un’altra grave emergenza.

Lorenzo Coppolino


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