La sfida dall’alto dei Cieli

Cosa accomuna droni, missili e altri oggetti volanti? Cosa stanno facendo le principali potenze in competizione per rimanere in gioco? Gli equilibri futuri del nostro Pianeta dipendono sempre più dalla convergenza dei vari settori della ricerca aerospaziale. Ecco il futuro della “Terra vista dal Cielo”.

 

Prima premessa

Droni e missili teleguidati non solo hanno più punti in comune di quanto si possa pensare, ma condividono anche le stesse origini. E’ il 17 maggio del 1917 quando Josephus Daniels, di mestiere editore in North Carolina ma in quel periodo Segretario della marina americana, finanzia con 200.000 dollari il progetto di due pionieri intenzionati a produrre il primo aeroplano automatico senza pilota della storia. Come spesso capita la ricerca scientifica si piega alle necessità del finanziatore, in questo caso militare, tra l’altro condizionato dal periodo storico particolare (siamo nel pieno della Grande Guerra). Succede quindi che il progetto originario chiamato “Hewitt-Sperry Automatic Airplane” – Hewitt esperto in comunicazioni radio e Sperry inventore nel settore dei giroscopi navali – diventa in fretta “Curtiss-Sperry Flying Bomb”. L’idea prevede l’allestimento di sei Curtiss N-9 con tutti i dispositivi e gli automatismi necessari per il volo senza pilota a bordo – caratteristica tipica dei droni – ma con una manovrabilità finalizzata a colpire obiettivi nemici – tipico dei missili teleguidati – portando in dote circa 450 Kg di esplosivo. Nonostante l’entusiasmo dell’inventore Elmer Sperry che definirà il suo progetto in modo altisonante “l’arma del futuro”, il tutto si concluderà con un sostanziale fallimento della sperimentazione.

Seconda premessa

Da un punto di vista concettuale, le basi della difesa missilistica si basano sul concetto di “ricerca dell’equilibrio”. Da un lato un’entità osservabile – si spera – ma non controllabile come un missile; dall’altro un complesso di apparati controllabile definito sistema anti-missile o ABM (anti-ballistic-missile). Il sistema deve garantire che un’entità adeguata alla distruzione del missile – da ora chiamata contromisura, sia questa un razzo, un proiettile o un raggio laser di reaganiana memoria – incontri (ed impatti) l’aggressore in un certo tempo e luogo.

L’attività di difesa ha successo se e solo se la contromisura ed il missile condividono lo stesso spazio al medesimo tempo, raggiungendo quindi una condizione di “equilibrio” comune dopo essere partiti singolarmente in condizioni di spazio e tempo totalmente differenti.

Per raggiungere e neutralizzare l’obiettivo la contromisura deve quindi raggiungere e colpire il missile e, per farlo, può utilizzare principalmente due tecniche definite in gergo come “correzione” e “predizione”.

La “correzione”, nel nostro caso intesa come variazione della rotta della contromisura nella manovra di avvicinamento, prevede che la contromisura stessa talloni il missile fino al contatto. La tecnica della “correzione” è concettualmente attuabile in qualsiasi circostanza, al netto del fatto che potrebbe rivelarsi inefficace in funzione di parametri come velocità ed orientamento del missile rispetto alla contromisura; una contromisura in coda ad un missile più veloce non sarà in nessun caso in grado di raggiungere ed abbattere il missile stesso.

Una ulteriore opzione per raggiungere l’equilibrio consente di utilizzare, quando possibile, la “predizione” della posizione futura del missile. La predizione si basa sul concetto per cui, nota la posizione attuale di un corpo e la sua balistica, è possibile calcolare anche la sua posizione futura nello spazio e nel tempo. La conoscenza della posizione futura dell’aggressore è ovviamente un vantaggio strategico per la contromisura al fine di colpire e neutralizzare il missile. La predizione però non è sempre applicabile e risulta inefficace se il moto del missile risulta artificialmente vincolato e quindi governato non solo dalle leggi naturali – gravità in primis – ma anche da dinamiche non conosciute e non prevedibili come il pilotaggio da terra o bruschi cambiamenti di rotta in generale.

Svolgimento

Il 26 dicembre del 2018 Putin ha deciso di concedere una “ventata di guerra fredda” allo scacchiere internazionale presentando una nuova arma tattica che, di fatto, impedisce sia correzione che predizione. Un’arma capace impedire il raggiungimento dell’equilibrio e quindi capace di superare qualsiasi contromisura anti-missilistica o ABM (anti-ballistic-missile). L’inseguimento risulta inefficace viste le velocità in ballo, nell’ordine delle decine di migliaia di chilometri orari. La predizione risulta inattendibile vista la possibilità del mezzo di cambiare la propria traiettoria arbitrariamente falsando la condizione di “volo libero” necessaria per l’intercettazione.

Il sistema d’arma “invincibile” – citando testualmente Putin – si chiama Avangard e può essere sintetizzato come un motoaliante ipersonico montato su un vettore balistico intercontinentale. Secondo quanto dichiarato la nuova arma tattica in dotazione alle forze armate russe è capace di raggiungere velocità nell’ordine di Mach27 (circa 33.400Km/h) e, soprattutto, di essere manovrata anche con bruschi cambiamenti di rotta durante la fase di rientro.

Le velocità in ballo sono tipiche di missili intercontinentali lanciati in orbita e sottoposti all’accelerazione gravitazionale in fase di rientro. Anche la manovrabilità in senso generale non è una novità: i sistemi d’arma detti MARV (maneuverable reentry vehicle) esistono dagli anni Novanta e hanno raggiunto una certa maturità più o meno in ogni angolo del globo, dagli Stati Uniti (Trident II) ad Israele (Jericho II) all’Iran (Shahab III). Nella maggior parte dei casi la manovrabilità è finalizzata ad aumentare la precisione per colpire un dato obiettivo, riducendo quello che in gergo si definisce CEP (circular error probability); esistono tuttavia sistemi d’arma – tra cui il Topol M, ancora russo – per cui gli automatismi previsti vengono anche impiegati per superare eventuali difese ABM.

La principale novità introdotta dall’Avangard sta nel fatto che la testata nucleare non è caricata sul vettore/missile – il quale serve soltanto come lanciatore del payload in orbita come avviene per i satelliti – ma viene trasportata tramite l’aliante ipersonico che poi dallo spazio rientra, con modalità simili a uno Shuttle, nell’atmosfera terrestre. La vera innovazione sta nel poter utilizzare quello che a tutti gli effetti è un velivolo senza pilota, tra l’altro di ridotte dimensioni (5.4m) e dotato di un suo motore, a velocità e con finalità equivalenti a quelle dei missili teleguidati.
L’Avangard è in conclusione un drone ipersonico lanciato in orbita e la sua “invicibilità” sta nell’abbinare la manovrabilità di un drone alle velocità tipiche dei missili teleguidati i quali, visto il profilo aerodinamico semplificato, possono offrire una manovrabilità nettamente inferiore.

ll tema dell’automatismo delle manovre è piuttosto interessante e merita un approfondimento. Putin ha più volte rimarcato la capacità dell’Avangard di compiere manovre repentine senza però chiarire se queste avvengono in maniera totalmente automatica – come accade generalmente per i missili teleguidati, soprattutto se lanciati ad altissime velocità – oppure no. Nel caso di totale automatismo, questo semplicemente confermerebbe l’appartenenza dell’Avangard alla categoria dei MARV. In caso di controllo da terra invece, questo significherebbe che i russi hanno trovato un modo per comunicare con l’aliante tramite onde elettromagnetiche capaci di attraversare il plasma che inevitabilmente si forma a quelle velocità e temperature attorno ad un corpo. Come scoperta probabilmente meriterebbe il prossimo premio Nobel per la fisica.

La risposta del Presidente USA non si è fatta attendere: direttamente dal Pentagono – il ruolo di Segretario della Difesa è vacante da fine 2018 dopo il licenziamento di James “Jim” Mattis – Donald Trump annuncia un aggiornamento della “dottrina difensiva” focalizzata, giustappunto, sulla difesa missilistica. Trump dichiara il “bisogno di nuove tecnologie contro ogni minaccia” e l’intenzione di “investire in una nuova rete di difesa nello spazio”, rafforzando al contempo le difese a terra con venti nuovi sistemi ABM da installarsi, guarda caso, in Alaska.

A questo annuncio, mentre Wall Street già premiava tutte le aziende americane attive nel settore – Northrop Grumman e Lockheed Martin in testa – gli analisti si focalizzavano soprattutto su quel riferimento alla “difesa spaziale” di reaganiana memoria. Per quanto in Italia sia più noto come “scudo spaziale”, negli stati uniti lo “Star Wars” proposto da Reagan nel 1983 ebbe un impatto notevole per le discussioni che suscitò, per l’innovazione che rappresentava e, soprattutto, per costi necessari alla sua attuazione. Per quanto siano passati 35 anni, e al netto delle discussioni che verranno, lo “Star Wars” mantiene oggi quasi inalterate sia le sue caratteristiche innovative, sia soprattutto, di nuovo, i costi necessari per la sua messa in opera. Solo il tempo potrà chiarire se questi Stati Uniti, tra l’altro in pieno “lockout” per via di un muro certamente meno innovativo, sapranno affrontare, da pionieri, il tema della difesa spaziale. La definizione “Star Wars”, tanto odiata da Reagan e subito tacciata come frutto della propaganda sovietica, pare sia stata inventata proprio da quel Wernher von Braun che col suo Saturn permise agli Stati Uniti di andare sulla Luna. E von Braun era uno che di missili se ne intendeva.

Marco Tesei ha conseguito la laurea in ingegneria aeronautica nel 2013 presso l’Università di Roma Tre. Le sue aree di ricerca sono le nuove tecnologie per la security, i droni e i sistemi di supporto decisionale basati sull’intelligenza artificiale. Vive a Roma.

 

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