Eurodroni e Hollywood

In una ipotetica classifica di droni con maggiore visibilità nell’immaginario collettivo, l’RQ-1 Predator prodotto dalla General Atomics sarebbe certamente al primo posto. A partire dal ’95 nei Balcani, il Predator è stato praticamente utilizzato in tutti gli scenari di guerra che hanno coinvolto gli USA sia nelle attività di ricognizione che nelle missioni di attacco.

 Mentre nel 2006 i Predator apparivano nel film Syriana – ottimo cast con George Clooney e Matt Damon, successo discreto al botteghino – altri Predator, stavolta del 32° Stormo di Amendola, operavano in Iraq nella missione “Antica Babilionia”: previa spesa di circa quattro milioni di dollari per singola unità, l’Italia è stata il primo stato estero dotato di Predator a partire dal 2002. Mentre nel 2010 usciva nelle sale Skyline – film pessimo, con cast trascurabile e giustamente stroncato dalla critica – lo US Air Force era in trattativa con la Turkish Air Force per la cessione (in leasing) di 3 Predator. Mentre nel 2014 i Predator venivano mandati a colpire le postazioni dell’ISIS, un loro equivalente digitale, curiosamente attribuito alle forze aeree indiane per motivi di sceneggiatura, appariva in quel capolavoro prodotto e diretto da Christopher Nolan chiamato Interstellar.

 Analizzando la vita operativa dei Predator in forza allo US Air Force, dal primo volo del 3 luglio 1994 fino al ritiro il 9 marzo del 2018 – l’ultimo volo nella base di Creech, con tanto di water salute – il programma ha prodotto più di 350 esemplari, impiegati in decine di scenari e con un numero incalcolabile di ore di volo. Un successo. Un successo che, in pieno stile “sogno americano”, nasce in un garage. Nel 1937 nasce a Baghdad Abraham “Abe” Karem, formato come ingegnere aeronautico al Technion in Israele – la famiglia è di origine ebraica – immigrato americano dagli anni ‘70 e da quel momento noto a tutti come “Drone Daddy” o “Dronefather”. The Economist definirà Karem come “l’uomo che ha creato l’aereo robotizzato ed ha trasformato il modern warfare”. E’ il 1990 quando la Leading Systems, da lui fondata come detto nel garage di casa, rischia la bancarotta; i “Blue Brothers” Neal e Linden Blue, proprietari di quella General Atomics che da anni provava ad imbastire un programma UAV senza risultati apprezzabili, acquisiscono l’azienda di Karem incorporando anche tutto il suo staff di ingegneri. L’alchimia che nasce tra i Blue e Karem è perfetta: la General Atomics ottiene il know-how e Karem finalmente dispone dei fondi necessari per portare avanti i suoi progetti. Nasce così il progetto Predator, basato sul modello Amber progettato proprio ai tempi della Leading Systems. Il resto è storia: nel 1993 – a quel tempo un solo film aveva introdotto i droni nella sua sceneggiatura, quel “Ritorno al Futuro Parte II” del 1989 divenuto cult come tutta la serie – viene fondata la General Atomics Aeronautical Systems che ad oggi, da allora e senza interruzioni, è saldamente tra i primi tre fornitori di US Air Force.

 Proseguendo nella ideale classifica dei droni militari (o Unmanned Aerial Combat Vehicle, UCAV) “famosi” impiegati nella filmografia hollywoodiana, il secondo posto è saldamente nelle mani, ancora, di un velivolo americano. Il Northrop Grumman RQ-4 Global Hawk è un APR da ricognizione equipaggiato con sistema SAR (radar ad apertura sintetica). Sviluppato nel primo decennio del 2000 con un costo di oltre cento milioni di dollari ad esemplare, può coprire centomila chilometri quadrati di terreno al giorno: un’area che va da Roma al Parco del Cilento alle coste di Zara in Croazia. Nel 2008 un prototipo – il programma Global Hawk rappresenta un unicum dell’industria aeronautica essendo stato mandato in produzione pur essendo ancora in fase di sviluppo – opera per attività di intelligence. Simultaneamente la controparte digitale compare in Iron Man, con Robert Downey Jr., primo dei film prodotti dalla Disney legati ai supereroi Marvel. Entrambi i Global Hawk in questione operano in Afghanistan.

 Al netto delle due celebrità citate ed allontanandosi da Los Angeles si possono già intuire alcuni futuri protagonisti. La Russia ha messo in produzione il primo aliante ipersonico controllabile da remoto – un ibrido tra drone ed arma balistica intercontinentale ed unico nel suo genere – che è destinato a cambiare il modo di intendere la difesa missilistica. La Cina meriterebbe un articolo esclusivo, sia per la quantità di programmi di ricerca sviluppati – a decine ed in contemporanea – sia per la quantità di mezzi prodotti e, soprattutto, esportati. Che Hollywood deciderà di includerli o meno, l’industria cinese è ormai pronta a competere; a conferma della maturità raggiunta, solo nel 2018 la Aviation Industry Corporation of China (AVIC) ha fornito sistemi UCAV ad Arabia Saudita, Algeria ed Egitto.

 In questo contesto internazionale l’Europa, purtroppo, insegue. Non considerando i programmi nazionali – il nostro Piaggio-Selex P.1HH Hammerhead su tutti – e continuando col parallelismo tra droni militari e cinema, quali droni europei potrebbero oggi prestarsi a comparsate nei film di Hollywood? Sostanzialmente due.

 Il primo e più longevo programma europeo sul tema UCAV è il Neuron (o nEUROn); capofila la Dassault Aviation (Francia) con la collaborazione di Leonardo (Italia), SAAB (Svezia) ed altri. Il programma Neuron parte nel 2003 e si pone come obiettivo lo sviluppo di un certo numero di dimostratori tecnologici – quindi senza prevedere la messa in produzione del prodotto finito – per attività sperimentali ed acquisizione di know-how. Il Neuron vola per la prima volta nel 2012 e nel 2016 Dassault comunica la conclusione con esito positivo delle prove in mare; è notizia recente che al 2019 il programma Neuron continua, tanto da essere inserito assieme al Taranis (Inghilterra), il MiG SKAT (Russia) ed i l’X-45 Phantom Ray e X-47 UCAS-D (USA) nel cluster di progetti classificati come “unmanned aircraft projects with fighter-substitution potential”.

Il Neuron è un UCAV con capacità stealth che, dovesse apparire nei film, sarebbe destinato ad essere confuso con il più famoso e praticamente identico Lockheed Martin RQ-170 Sentinel. L’attribuzione dell’eventuale cammèo nei titoli di coda sarà questione di sceneggiatura: Il Neuron è sistema d’arma progettato per colpire con voli a bassa quota, il Sentinel è un velivolo da ricognizione senza armamenti.

 Il secondo programma europeo UCAV, nonché attualmente mediaticamente più esposto, nasce il 18 maggio 2015 con la partecipazione di Francia, Germania ed Italia (la Spagna si aggregherà nel 2017) con il supporto dei rispettivi campioni nazionali del settore. Il progetto EU MALE RPAS – il nome è provvisorio – è a sua volta acronimo di “European Medium Altitude Long Endurance Remotely Piloted Aircraft System” che già esprime in sintesi quanto ci si attende per la messa in servizio del velivolo, prevista nel 2025. L’anno scorso al Berlin Air Show è stato mostrato il mockup in scala reale. Dirk Hoke, AD di Airbus Defence and Space, afferma che “il programma è pensato per soddisfare urgenti requisiti in termini di capacità da parte delle forze armate europee”. Urgenza. Tra le varie dichiarazioni a margine poi si legge l’intenzione, declinabile come urgenza a sua volta, di raggiungere l’indipendenza da tecnologie di stati terzi nel settore UCAV. Di fatto una “urgenza di indipendenza” che, analizzando il contesto mondiale proiettato verso un nuovo inverno geopolitico, non può che suonare lungimirante per quanto sinistro.

Curioso l’atteggiamento degli organi di stampa che, per dare risalto al MALE, lo hanno di fatto sminuito. Il MALE è stato definito come la “risposta europea” al General Atomics MQ-9 Reaper, confuso tra l’altro con il Predator di cui è invece diretta evoluzione. Partendo dal presupposto che il Reaper è in servizio dal 2007, a scorrere i progetti della European Defense Agency (EDA) – dei quali il MALE è parte integrante e privilegiata – è possibile scoprire come il futuro drone europeo sia stato pensato per essere molto di più di un sistema d’arma come il Reaper. Concetto sintetizzato in maniera puntuale dal CEO di EDA che definisce il MALE “… not only as a platform but as a global system, as a capability.”

Marco Tesei ha conseguito la laurea in ingegneria aeronautica nel 2013 presso l’Università di Roma Tre. Le sue aree di ricerca sono le nuove tecnologie per la security, i droni e i sistemi di supporto decisionale basati sull’intelligenza artificiale. Vive a Roma.

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