Quanto spende l’Italia per la difesa?

Un’analisi approfondita di Andrea Aversano Stabile (IAI) su conti, costi e investimenti nella Difesa italiana, utile per conoscere il bilancio e i programmi relativi a un settore fondamentale per il nostro paese

Secondo la normativa vigente, il Documento Programmatico Pluriennale (Dpp), riguardante l’allocazione delle risorse nel campo della difesa, dovrebbe essere presentato alle Camere per l’approvazione entro il 30 aprile di ogni anno. Alla luce della prassi seguita negli scorsi anni, con la sempre più tardiva pubblicazione del documento, difficilmente le scadenze previste verranno rispettate. In questo contesto, è interessante analizzare le risorse effettivamente destinate alla difesa nel 2018 per poi fare delle considerazioni per l’anno in corso.  

Come confermato durante le ministeriali Nato, l’Italia mantiene il suo impegno verso il raggiungimento dell’obiettivo condiviso di una spesa per la difesa pari al 2 per cento del Pil entro il 2024. Secondo il testo del Dpp 2018-2020, le previsioni di spesa per il 2018 stabiliscono un bilancio della difesa di poco inferiore ai 21 miliardi di euro, pari all’1,19 per cento del Pil previsionale e quindi abbastanza lontano dalla soglia definita nel vertice Nato in Galles nel 2014. L’Italia non è soltanto deficitaria per quanto attiene al rapporto tra spese per la difesa e Pil, ma inoltre destina alla difesa uno scarso ammontare di risorse rispetto ai principali Paesi europei, con Francia, Germania e Gran Bretagna che spendono più del doppio in termini assoluti.

La spesa per la difesa nel 2018

Proprio in valore assoluto, il bilancio del Ministero della Difesa è aumentato di 700 milioni di euro nel 2018 anche se il rapporto con il Pil è rimasto sostanzialmente invariato. Questi numeri sono però incompleti se ci si riferisce alla spesa reale per la difesa dato che il bilancio si riferisce tradizionalmente a tre diverse componenti: la funzione difesa, che comprende le spese deputate all’assolvimento dei compiti militari specifici di Esercito, Marina e Aeronautica, assieme a quelli della componente interforze e della struttura amministrativa e tecnico-industriale del Ministero della Difesa; la funzione sicurezza del territorio, che ingloba le spese destinate all’Arma dei Carabinieri che, pur essendo una forza armata, svolge essenzialmente compiti legati alla sicurezza pubblica sul territorio dello stato e che non sono riconducibili alla difesa in senso stretto (tanto da dipendere funzionalmente dal Ministero dell’Interno); le funzioni esterne, ovvero attività assegnate al Ministero, ma non rientranti nei suoi compiti istituzionali specifici.

Considerando la sola funzione difesa, il Dpp 2018-2020 stima un ammontare di risorse per il 2018 pari a poco meno di 14 miliardi di euro, in leggero aumento rispetto al 2017. A loro volta, le spese per la funzione difesa possono essere ripartite in altri tre sotto-insiemi: quelle per gli stupendi del personale civile e militare del Ministero della Difesa, gli investimenti per lo sviluppo tecnologico e l’acquisizione di equipaggiamenti, ed i costi operativi relativi ad addestramento, esercitazioni e manutenzione. Nel 2018, le spese per il personale costituiscono il 73 per cento delle risorse per la funzione difesa, mentre quelle di esercizio superano di poco il 10 per cento pur avendo subito un sostanziale aumento in termini percentuali dal 2017. Più complesso è il ragionamento sugli investimenti dato che questi, oltre a quelli specificamente previsti dalla funzione difesa – pari a circa il 17 per cento del totale -, comprendono anche i 2,8 miliardi di euro stanziati dal Ministero dello Sviluppo Economico (Mise) per gli incentivi allo sviluppo dell’industria nazionale della difesa.

A questi fondi devono poi aggiungersi anche le risorse allocate nell’ambito del finanziamento annuale alle missioni internazionali, i cui 995 milioni di euro per il 2018 possono essere ripartiti nelle sopracitate voci relative a personale ed esercizio. Infine, una piccola percentuale delle spese per la funzione sicurezza del territorio riferita all’impiego effettivo di Carabinieri nelle missioni all’estero va contemplata nel computo delle spese reali e complessive nella difesa: un dato aggregato che permette di calcolare in maniera più verosimile quanto effettivamente destinato dall’Italia a questo settore. Procedendo quindi alla somma delle diverse componenti considerate, le spese complessive nella difesa per il 2018 risultano pari a 18,09 miliardi di euro, in leggero aumento rispetto al 2017 e con un rapporto con il Pil piuttosto stabile, pari a circa l’1,02 per cento.

Tabella 1 | Spese complessive per la difesa nel 2017 (milioni di euro)

Note: * La percentuale delle spese per l’impiego effettivo dei Carabinieri nelle missioni all’estero è calcolata all’interno della funzione sicurezza del territorio sulla base di stime ed interviste. ** La ripartizione delle spese nell’ambito delle missioni internazionali (c.d. “fondo missioni”) è definita sulla base di stime ed interviste. Fonte: rielaborazione IAI su Dpp 2017-2019. 

Tabella 2 | Spese complessive per la difesa nel 2018 (milioni di euro)

Note: * La percentuale delle spese per l’impiego effettivo dei Carabinieri nelle missioni all’estero è calcolata all’interno della funzione sicurezza del territorio sulla base di stime ed interviste. ** La ripartizione delle spese nell’ambito delle missioni internazionali (c.d. “fondo missioni”) è definita sulla base di stime ed interviste. Fonte: rielaborazione IAI su Dpp 2018-2020. 

Al di là della questione economica, è significativo sottolineare lo squilibrio nella distribuzione delle risorse tra le componenti personale, esercizio e investimento. Poiché il livello ottimale di spesa sarebbe quello per cui metà delle risorse è destinata al personale e l’altra metà ripartita in parti uguali tra investimenti e spese operative, i dati relativi al 2018 palesano l’inefficienza dello strumento militare. Nonostante minimi miglioramenti dal 2017, più del 60 per cento delle risorse italiane sono destinate alla voce personale mentre l’esercizio è finanziato solo per l’11 per cento.

Le previsioni di spesa per il 2019

In attesa della nuova versione del Dpp, l’ultimo documento rilasciato prefigura dei tetti di spesa per la difesa nel 2019 sulla falsa riga del 2018, con un rapporto con il Pil destinato a scendere all’1,15 per cento. Questo dato corrisponde però al più roseo degli scenari, dal momento che non tiene conto dei tagli alla difesa più volte annunciati dall’insediamento del nuovo esecutivo, e poi confluiti soltanto nella legge di bilancio 2019. A ciò si aggiungono anche le stime rese note dal Documento di Economia e Finanza, che prefigurano un brusco rallentamento della crescita in Italia per l’anno in corso e che pure vanno ad incidere sul rapporto tra Pil previsionale e fondi effettivamente destinati alla difesa. In ogni caso, le stime di più lungo periodo prevedono una proiezione al ribasso di questo coefficiente, stimato all’1,10 per cento per il 2020, compromettendo così il raggiungimento dell’obiettivo Nato entro il 2024.     

A tal proposito, non sembra essere d’aiuto la proposta del Ministro Trenta di conteggiare nelle spese per la difesa anche quelle per la cyber security e per la protezione delle infrastrutture civili. La proposta infatti non esenta l’Italia dallo spendere il 2 per cento nella difesa in senso stretto dato che se si aumenta il perimetro delle spese si alzerà anche l’asticella. In ambito cyber, inoltre, l’Italia si troverebbe in posizione di svantaggio verso Paesi Alleati più avanzati industrialmente e tecnologicamente e che destinano più risorse a questo settore.

Il futuro della difesa

Alla luce di quanto detto, una revisione del meccanismo di allocazione delle risorse per le rispettive componenti della funzione difesa è necessaria per rendere lo strumento militare sostenibile nel lungo periodo. Se è realisticamente difficile un sensibile aumento delle spese militari, l’Italia ha bisogno di fare di necessità virtù attraverso la riduzione delle risorse per il personale per destinarle alle spese di esercizio, ricerca ed investimento, e all’addestramento delle forze armate. Affinché le spese siano davvero efficientate, è anche imprescindibile mantenere stabile il livello degli investimenti, assicurando lo sviluppo dell’industria nazionale della difesa e potendo contare su ritorni tecnologici, industriali, economici ed occupazionali ad essa connessi.

Affinché ciò avvenga, è necessario assicurare la stabilità delle risorse nel tempo. La pianificazione triennale del Dpp va rispettata senza introdurre modifiche estemporanee e decontestualizzate dal quadro di insieme, che rischiano di causare implicazioni negative sia sul piano interno che internazionale, non sono in ambito Nato ma anche Ue. A titolo d’esempio, la massiccia partecipazione italiana ai progetti lanciati dalla Cooperazione Strutturata Permanente (PeSCo) presuppone un significativo contributo economico da parte dell’Italia, eppure le iniziative a cui Roma ha aderito vengono menzionate nel Dpp 2018-2020 soltanto in una nota a piè di pagina.

Andrea Aversano Stabile è Ricercatore Junior nel programma Difesa all’Istituto Affari Internazionali

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