Il valore stellare delle logistiche nell’era delle economie digitali

L’evoluzione della corsa alle stelle e il ruolo strategico delle logistiche nel futuro dell’esplorazione spaziale. L’analisi di Marco Valigi

Sabato primo agosto 2020, nel mezzo di un annus horribilis segnato da una pandemia che non sembra intenzionata ad arrestarsi, la capsula Crew Dragon è ammarata con successo nel Golfo del Messico. Si è trattato di immagine evocative, capaci di risvegliare tra i nostalgici i sentimenti legati alla tradizione che sino al 1972 ha caratterizzato le 17 missioni Apollo. Sul piano sostantivo, però, tra le esplorazioni lanciate durante la presidenza Kennedy e quelle attuali le differenze sono più marcate.

Secondo alcuni, il programma gestito da Space X rappresenta una rivoluzione, un’impresa addirittura capace di rovesciare la relazione tra Stato e privati in un settore che, per costi e competenze, sembrava dominio esclusivo degli attori pubblici. Questo giudizio, tuttavia, si basa su un certo tipo di mitologia. Vediamo dunque di andare oltre una lettura impressionistica dei fatti, chiarendo meglio il ruolo svolto dai privati, sia sul piano dell’imprenditività sia per quanto concerne l’apporto di capitali.

Rispetto agli altri tre domini strategici (terra, acqua e aria), già durante la Guerra fredda, lo spazio era stato sottratto al monopolio dei militari. Il ruolo dei civili e la collaborazione pubblico-privato, di conseguenza, hanno costituito storicamente uno dei punti focali delle esplorazioni spaziali in Occidente. Nel 1961, quando Kennedy lanciò la sfida all’URSS per portare il primo uomo sulla luna, si trattò di fatto di una grande mobilitazione civile. Il sistema sociale americano, centrato sulla creatività e l’intraprendenza di individui e imprese, avrebbe dovuto primeggiare sul blocco comunista, icona di un modello verticistico nel quale nomenklatura comunista e militari facevano quadrato. Lo Stato intendeva essere una sorta di aggregatore, o meglio di attivatore di possibilità in che i leader americani ritenevano già presenti nella società che rappresentavano. Lungi dal costituire una rivoluzione e una cesura con il passato, dunque, il caso di Space X rappresenta piuttosto uno sviluppo pragmatico ed business oriented di un modello esistente. Ciò che è venuto meno, piuttosto, sono l’idealismo kennediano e il senso di lotta per la conservazione dei valori liberal democratici tipici degli anni Sessanta.

Riguardo poi il ruolo svolto dai capitali privati nel finanziamento di un’impresa dagli esiti aleatori come quella di SpaceX, anche questo aspetto merita alcune precisazioni. Benché Trump abbia celebrato l’intraprendenza di Elon Musk con l’intento di collegare un certo modello di business – e di America – a un tipo antropologico e di imprenditore, l’aspetto cruciale dell’intera questione riguarda chi in ultima istanza abbia giocato il ruolo di risk taker. La risposta, ancora una volta, è lo Stato. Del resto, non si tratterebbe della prima volta. Nel caso di Tesla, mutatis mutandis, le cose sono andate all’incirca nello stesso modo, come sottolineato da voci autorevoli della comunità scientifica quali Mariana Mazzucato.

Nei primi 10 anni di attività, i più delicati per una Start-Up, SpaceX è stata finanziata per il 70% da capitali pubblici trasferiti essenzialmente dalla NASA. A partire dagli anni Novanta, infatti, il governo federale ha varato quattro diversi programmi caratterizzati da contratti a lungo termine (ovvero in grado di apportare flussi cosiddetti pazienti al progetto di Musk) volti a ridimensionare i costi di talune operazioni spaziali. Più che il successo di un singolo geniale imprenditore, SpaceX rappresenta dunque un esempio di partnership tra settore pubblico e privato in un ambito, quello aerospaziale appunto, dove questo tipo di assetto rappresenta la formula classica. Dalla metà degli anni Novanta, attraverso programmi come il Commercial Orbital Transportation Services (COTS), il Commercial Resupply Services (CRS), il Commercial Crew Program (CCP) e il National Security Space Launch (NSSL), in particolare, lo Stato ha creato le condizioni normative perché i privati potessero operare in un settore strategico come lo spazio e garantito il grosso del capitale di rischio necessario a lanciare  e sostenere quell’impresa nei 15 anni successivi. Di contro, l’ingresso dei privati, ha apportato modelli organizzativi leggeri e di integrazione verticale capaci di assicurare in certi casi, come quello del lanciatore Falcon 9, una riduzione dei costi di quasi 10 volte rispetto al caso in cui la NASA o le forze armate americane avessero optato per l’internalizzazione delle medesime funzioni.

Alla luce di queste considerazioni, che ridefiniscono il ruolo di SpaceX e la relazione con il governo federale in una prospettiva di complementarità tra attori, c’è da domandarsi in cosa consistano realmente i vantaggi per le parti con riferimento al caso di Crew Dragon. Diversamente dal caso dei lanciatori Falcon, infatti, lo sviluppo della capsula Dragon, avviato nel 2014, è stato caratterizzato da una serie di ritardi e dalla necessità di “iniezioni” addizionali di denaro pubblico affinché si potesse arrivare al test del maggio scorso. Insomma, se il vantaggio per l’azienda di Musk è palese, benché ciò ridimensioni il suo successo come imprenditore sul piano dell’efficacia/efficienza, è meno chiaro perché il governo degli Stati Uniti abbia comunque ritenuto vincente un progetto privato che in termini di costi e tempi di realizzazione si è discostato dalle premesse iniziali.

La risposta è che le logistiche hanno un ruolo strategico e un valore economico peculiare (il valore “stellare” al quale enfaticamente si accennava nel titolo). Che si tratti di commerci leciti, come nel caso dei beni venduti su scala globale, oppure illeciti, come nel caso del traffico di stupefacenti e di migrati, chi gestisce le logistiche dispone di un notevole potere contrattuale i termini di controllo sugli obiettivi e i livelli di spesa altrui. Chi gestisce il trasporto di particolari beni o di individui, infatti, è in grado di condizionare non solo il raggiungimento di certi obiettivi o luoghi da parte di uomini e merci, ma anche i tempi, le modalità i costi con i quali ciò avverrà. Al di là di certi progetti visionari di Musk, a giudicare dall’interesse mostrato da altri protagonisti della scena economica come Google e Amazon, la nuova frontiera per la movimentazione uomini e merci sembra essere proprio lo spazio. L’obiettivo? Plausibilmente, offrire nel tratto compreso tra la terra e la Stazione Spaziale internazionale un servizio di trasporto affidabile a costi ragionevoli. Del resto, dopo il pensionamento dello Space shuttle, il solo attore a essere rimasto operativo su quella tratta era la Russia, grazie al veicolo spaziale Sojuz-MS.

Sottrarre allo storico rivale la possibilità di condizionare eventuali attività del governo degli Stati Uniti o di imprese americane, non meno che ridimensionare attraverso un’azienda americana il flusso di cassa a favore di Mosca generato dalla vendita di quei servizi di trasporto, per Washington, costituisce un vantaggio, qualunque punto di osservazione si assuma. In un momento di incertezza internazionale come quello che stiamo attraversando, infatti, svincolarsi dalla dipendenza verso la Russia trascende la mera valutazione economica relativa all’efficienza delle aziende di Musk. In sostanza, se tali imprese – come è accaduto – richiedessero iniezioni di denaro pubblico superiori a quelle preventivate, la presenza stessa di un competitor nel mercato delle logistiche spaziali intaccherà il dominio di Mosca. Inoltre, il fatto che tecnicamente sia tratti di un privato smorza il livello di confronto tra Russia e Stati Uniti, sortendo tuttavia effetti sostantivi analoghi a un’azione diretta da parte del governo americano.  

Infine, c’è la dimensione commerciale. Analogamente a quanto accaduto con la privatizzazione della sicurezza, ambito nel quale la privatizzazione delle logistiche tramite il programma LOGCAP (Logistics Civil Augmentation Program) aveva posto la cornice normativa perché si sviluppasse il mercato delle Private Military Firms, il ruolo del regolatore pubblico è cruciale anche nel caso dell’uso commerciale dello spazio. La dimensione regolatoria, infatti, determina le condizioni perché un investimento come quello di SpaceX possa risultare profittevole e perché il denaro dei contribuenti che il governo ha “scommesso” su quell’impresa si trasformi, attraverso il mercato che si andrà costituendo, in posti di lavoro e redditi. Di fatto, anche da questa prospettiva, emerge ancora una volta il ruolo centrale che, in un’avventura apparentemente tutta privata, hanno giocato lo Stato e la produzione normativa, sotto forma di politiche pubbliche di tipo neokeynesiano.

Se Musk sia un imprenditore illuminato oppure un abile opportunista il cui merito è stato quello di sfruttare con rapidità e tempismo le possibilità economiche offerte da certi bisogni degli Stati Uniti come potenza globale implica una valutazione complessa. Sarebbe dunque prematuro tentare di trarre adesso delle conclusioni. Di contro, si può affermare con una certa convinzione che il caso di Crew Dragon rappresenta una performance corale. Stato e privati, infatti, si sono attestati sulla futura frontiera delle logistiche, garantendosi un vantaggio completivo che, a breve, potrebbero capitalizzare nella dimensione politica non meno che in quella economica/di mercato.

Marco Valigi, EIB Research Fellow, Università degli studi di Bologna
Adjunct Professor di Regional Studies, Università Cattolica del Sacro Cuore, Milano


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