Breve storia del sogno, e dei progetti, dell’esplorazione, di Marte

Breve storia delle prime teorie sulla vita su Marte e del sogno dell’esplorazione del pianeta Rosso. Dalle suggestioni di Schiapparelli ai tentativi delle missioni di oggi.

Scrive Schiaparelli nel 1895 nel suo libro “La vita sul Pianeta Marte”:

«Piuttosto che veri canali della forma a noi più familiare, dobbiamo immaginarci depressioni del suolo non molto profonde, estese in direzione rettilinea per migliaia di chilometri, sopra larghezza di 100, 200 chilometri od anche più. Io ho già fatto notare altra volta, che, mancando sopra Marte le piogge, questi canali probabilmente costituiscono il meccanismo principale, con cui l’acqua (e con essa la vita organica) può diffondersi sulla superficie asciutta del pianeta».

Alla fine del XIXesimo secolo bastava scrivere “canali” (ovviamente in italiano) per dare vita ad una delle teorie fantascientifiche più longeve della storia: la vita su Marte.

Qualche premessa. Giovanni Schiaparelli osserva i canali nel 1877. Schiaparelli è scienziato “di razza”: astronomo ed ingegnere, oltre che senatore del Regno e membro dell’Accademia dei Lincei. Si limita a dire “canali”, avendo poi l’accortezza di puntualizzare “depressioni del suolo”. Ma nulla può uno scienziato quando il potenziale mediatico di una notizia trascende la notizia stessa, così i “canali” vengono tradotti in inglese “canals” invece del più appropriato “channels” (“canals” si riferisce infatti a qualcosa di certamente artificiale) e partono le speculazioni. Speculazioni che all’epoca, in mancanza di prove contrarie, erano giustamente considerate teorie scientifiche in piena regola. Percival Lowell, astronomo statunitense e fondatore dell’osservatorio Flagstaff, non proprio l’ultimo arrivato, si appassiona alla teoria di Schiaparelli e ancora all’inizio del XX secolo teorizza che suddetti “canali” siano opere titaniche, sviluppate da una civiltà morente con lo scopo di (cercare di) sopravvivere sull’arido Pianeta Rosso. Epico. Tra l’altro con implicazioni “green” assolutamente ignorate all’epoca: dopotutto siamo in piena rivoluzione industriale.

Non mancarono ovviamente gli scettici. Contemporaneo sia a Lowell che Schiaparelli l’astronomo italiano Cerulli ipotizzò che si trattasse di semplici illusioni ottiche. Maunder (astronomo inglese) sostenne Cerulli proponendo esperimenti per replicare l’illusione ottica. Wallace (ancora inglese, biologo) criticò aspramente la teoria di Lowell alla radice e, tirando in ballo le stime sulla pressione atmosferica e la temperatura marziana, asserì che la teoria dell’acqua su Marte non fosse proprio percorribile, quanto meno in forma liquida. Servirà la sonda Mariner 4 nel 1965 per consegnare la teoria della civiltà marziana agli onori della fantascienza, restituendo le prime immagini ravvicinate dall’aridissimo Pianeta Rosso.

Accantonata la teoria della civiltà, è tuttavia ben lungi dall’essere confutata la teoria della vita su Marte, presente o (più probabilmente) passata che fosse. Ed arriviamo ai giorni nostri, con la missione della NASA Mars2020 che, a distanza di più di un secolo, continuerà a cercare tracce di vita sul Pianeta Rosso. Perseverance (che è il nome del rover, la missione si chiama Mars2020) meriterà di certo un articolo dedicato. In un articolo dedicato alle sfide intellettuali e tecnologiche che si porta dietro Marte, la questione dei rover e degli ammartaggi offre spunti interessanti. Dopo aver parlato delle illusioni ottiche di Schiaparelli (tra parentesi, in tutti i sensi, aveva ragione Cerulli), passiamo quindi alla NASA.

Perseverance va ad arricchire la flotta NASA su Marte che già contava Spirit (2004-2010), Opportunity (2004-2018), e Curiosity (2012-in attività). Quattro droni nel giro di dieci anni. Detta così sembra quasi semplice arrivare su Marte, vero? Invece no.

Delle circa quaranta missioni che hanno coinvolto il Pianeta Rosso fin dagli albori (a partire dal programma Mariner nel 1960), il tasso di successo si assesta intorno ad un poco rassicurante 40%. In gergo si può approcciare il Pianeta Rosso con un orbiter (una sonda orbitante attorno al pianeta), un lander (una sonda capace di atterrare con successo sul pianeta) o un rover (appunto capace di muoversi sul pianeta). Inutile dire che il rover sia la soluzione più sofisticata e tecnologicamente complessa, in quanto di fatto deve tenere conto di buona parte delle difficoltà di un orbiter e tutte quelle legate all’ammartaggio di un lander. La NASA ha portato quattro rover perfettamente funzionanti su Marte nel giro di dieci anni. Notevole.

Per quanto poi sia sconsigliabile snocciolare dati precisi che coprono uno spettro temporale troppo ampio (parlando di tecnologia, semplicemente ere differenti), è opportuno considerare che la difficoltà nell’approcciare il Pianeta Rosso non sembra essersi (troppo) ridotta con lo sviluppo tecnologico. I famigerati (e ormai noti) “seven minutes of terror” (il tempo di interruzione delle comunicazioni durante un ammartaggio) continuano a mietere vittime.

Ne sanno qualcosa i cinesi che, dopo aver visto fallire la missione Yinhuo-01 nel 2011, riproveranno a portare un rover su Marte a circa dieci anni di distanza. L’ammartaggio della missione Tianwen-01 (già arrivato in orbita marziana qualche giorno fa) è previsto per i prossimi mesi. Stesso discorso per la missione ExoMars (congiunta ESA/Roscosmos) che, in orbita marziana nel 2016, ha visto schiantarsi al suolo il lander EDM. Quel lander portava il nome proprio di Schiaparelli.

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *