Il ritorno di Barak Obama e il confronto con Donald Trump

Barack Obama, partecipando ad un evento di raccolta fondi a sostegno di Joe Biden, è tornato ad attaccare Donald Trump. Nella campagna presidenziale sconvolta dal Covid, il confronto a distanza tra Obama e Trump potrebbe diventare il fatto nuovo politicamente più rilevante.

Che tra Donald Trump e Barack Obama non corresse buon sangue era noto. Già prima della campagna elettorale del 2016 non erano mancate le polemiche tra i due e durante la sua corsa verso la Casa Bianca, e anche dopo, più volte Donald Trump ha attaccato Obama. Non sorprende se oggi, proprio con l’obiettivo di sconfiggerlo, Obama abbia deciso di scendere in campo in prima persona in questa campagna elettorale che si annuncia particolarmente rovente. Era già intervento ad aprile e maggio, e lo ha fatto in questi giorni, partecipando con Joe Biden ad un evento di raccolta fondi virtuale.

Nei fatti, con l’ingresso in scena dell’uomo politico progressista più famoso d’America, potrebbe prodursi uno spostamento del baricentro dell’attenzione mediatica da colui che Obama vorrebbe promuovere a se stesso. Difficile pensare che non lo sappia, essendo lui un grande comunicatore oltre che un esperto politico.

Certamente l’intervento di Obama è indispensabile per i Democratici, ma potrebbe anche trasmettere l’idea di una sorta di “commissariamento” di Biden e quindi andrebbe gestito in modo molto oculato. Il ruolo che Obama potrebbe giocare in questa campagna sarebbe davvero molto importante, in ragione sia delle tensioni odierne che attraversano l’America che della sua forza elettorale, ma non può rischiare di mettere troppo in ombra il suo candidato. Eppure la posta è talmente alta che non può nemmeno farsi da parte ormai, avendo deciso di scendere in campo.

Per quanto da ex presidente non si sia espresso ufficialmente per nessun candidato alle primarie, è ormai abbastanza diffusa la convinzione che già durante le settimane critiche per Joe Biden, in cui sembrava paventarsi il rischio di una vittoria di Bernie Sanders, Barack Obama si sia mosso sottotraccia per ricompattare il fronte attorno a lui. Non a caso forse la svolta a favore di Biden è arrivata grazie al voto degli afro-americani e al ritiro di alcuni candidati considerati “moderati”.

Durante questa pandemia, che negli USA sta scuotendo pesantemente il paese e l’opinione pubblica, Obama è intervenuto in prima persona per attaccare la gestione di Trump dell’emergenza con parole durissime, dopo averlo accusato altre volte di avere diviso il paese. Senza risparmiarsi ha anche iniziato a sostenere pubblicamente Joe Biden, insieme alla moglie Michelle, ancora popolarissima. Addirittura indiscrezioni giornalistiche stanno recentemente accreditando la suggestione che possa essere proprio Michelle la candidata Vice Presidente che ad agosto Biden proporrà. Infatti che possa scegliere una donna come vice è certo, che possa magari aiutarlo rispetto ad alcuni segmenti di elettorato su cui è ancora più debole. Che questa donna possa essere Michelle sembra oggi molto difficile. Ma nel clima di grande tensione che attraversa il paese, tra manifestazioni antirazziste da un lato e contagi in continua crescita dall’altro, con una crisi economica e sociale sempre più grave, che sta colpendo soprattutto le fasce più deboli della popolazioni, Obama potrebbe comunque svolgere un ruolo decisivo nel ricompattare l’elettorato democratico, presso cui è ancora molto popolare, ma anche gli elettori afro-americani o appartenenti alle minoranze, fino ai più giovani. La sua discesa in campo è per Biden la migliore carta da giocare in questo momento, a cui non ha alternative, proprio per riuscire a mobilitare l’elettorato di sinistra e progressista, e per provare a vincere in quegli Stati dove 4 anni fa invece una parte di elettorato tradizionalmente democratico tradì Hillary Clinton. Biden potrebbe averne bisogno, nonostante sia in testa nei sondaggi a livello nazionale, per vincere proprio in quelli decisivi. Un recente sondaggio pubblicato sul New York Times lo accredita in vantaggio[1], anche non di poco, in 6 stati chiave. Ma la volatilità del consenso di questi tempi è tale chepuotrebbe  bastare poco per perdere terreno e la strada migliore da seguire, per mantenere il vantaggio, è la mobilitazione delle proprie basi elettorali e la conquista degli indecisi.

La presenza di Obama potrebbe però essere utilizzata anche da Trump per animare un pezzo dell’elettorato repubblicano più ostile al suo predecessore e accusare Biden di debolezza. Per come gli scenari stanno evolvendo, un confronto tra i due sembra inevitabile ed avrebbe un valore che va al di là della partita elettorale in sé. In fondo si tratterebbe del confronto anche tra due modi di intendere la politica e la società, tra due linguaggi e due modelli opposti. E sarebbe davvero il fatto politico più interessante e rilevante di questo momento, forse la vera sfida dentro la contesa elettorale di novembre.

Obama resta il leader politico occidentale di sinistra probabilmente più noto e influente al mondo. Non ha eguali. La sua scalata imprevista ed eccezionale alla casa bianca 12 anni fa ha segnato un’epoca accelerando un processo di rinnovamento dei modi di fare politica e di comunicare che poi ha avuto effetti anche in Europa e ha cambiato il modo stesso con cui il confronto politico si è sviluppato fino ad oggi e gli elettori di sinistra si sono rapportati con i propri partiti di riferimento. Non solo perché è stato il primo a usare social media, big data, newsletter, i nascenti strumenti che il web metteva a disposizione della comunicazione politica, come mezzi sia di informazione che di partecipazione e mobilitazione, ma anche perché lui stesso riuscì a incarnare fisicamente e idealmente una cesura col passato ispirando una battaglia di rinnovamento radicale della società e della politica, soprattutto durante la campagna elettorale del 2008. Una battaglia iniziata già dalle primarie, dove lui, il senatore nero figlio di un immigrato africano sfidava una delle donne più potenti d’America, in una dialettica che già sapeva di sfida al sistema tradizionale e all’elite del partito democratico, per poi divenire una campagna per “un nuovo sogno americano”, contro il conservatorismo novecentesco di John Mc Cain. Non è un caso se dopo di lui tanti leader emersi in questi anni in Europa hanno provato ad imitarlo, anche inseguendo una certa retorica “nuovista”, con risultati contraddittori e volte anche un po’ con toni populistici. Ma tra tutti, lui resta il più celebre e il più amato.

Fatti i dovuti distinguo Donald Trump, nel campo della destra odierna, più radicale e nazionalista rispetto a qualche anno fa, è sempre di più un modello nel mondo occidentale. Ha da subito impersonato una reazione e una risposta alla retorica e allo stile “obamiano”, ma ha anche esasperato la retorica anti-sistema trasformandola in una polemica molto aspra. Anche lui ha dato corpo ad una evoluzione più diretta e senza filtri della comunicazione politica di destra, in una chiave ancora più radicale, andando oltre gli schemi classici e accelerando un processo già in atto anche sul suo versante del panorama politico mondiale. Si è fatto voce di pulsioni, idealità, proposte diverse, dal Tea Party a ciò che restava dei Neocon fino all’isolazionismo classico americano. Non a caso entrambi, sia lui che Obama, sono emersi negli Stati Uniti, dove dal secondo dopoguerra in poi si sono affermate tutte le tendenze più innovative e più rilevanti della politica e della comunicazione contemporanea. Possa piacere o meno, il confronto tra questi due uomini, tra i loro due stili di comunicazione, è sia una sfida tra visioni differenti del mondo e della società, che il confronto tra i due più grandi comunicatori politici del nostro tempo. Una sfida che prima o poi si sarebbe comunque dovuta produrre e che potrebbe avere conseguenze che vanno oltre le stesse elezioni.

Cosa farà Trump per reagire e cercare di risalire la china dopo alcune settimane molte complicate è una domanda su cui molti analisti si interrogano. Al di là delle impressioni e dei fiumi di inchiostro spesi per analizzare, valutare, approfondire svariate ipotesi sulla sua possibile strategia, è abbastanza difficile comprendere e prevedere fino in fondo le sue mosse, come del resto lo è stato in questi quattro anni di presidenza. Trump probabilmente finirà col fare quello che gli è sempre riuscito meglio e che quattro anni fa gli ha permesso di vincere negli stati determinati, pur perdendo nel voto popolare nazionale: cercherà il più possibile di incarnare il ruolo dell’antisistema, andando all’attacco di Biden esaltandine i limiti o i difetti e, tanto più sarà presente, di Barack Obama. Proverà a rivendicare i suoi successi economici e scaricare su altri la responsabilità degli insuccessi, sfruttando tutte le sue indubbie qualità di grandissimo comunicatore. Più il duello eventuale con Obama si accenderà, più lui cercherà di fomentarlo a suo vantaggio. Deve recuperare nei sondaggi, e per questo non si farà perdere alcuna occasione per essere al centro dell’attenzione e caricare la sua base.

Del resto Donald Trump, come pochi politici al mondo, riesce a stabilire una connessione diretta con la pancia dei suoi elettori e della gente comune, talvolta usando toni che possono apparire inusuali per un uomo delle istituzioni, ma indubbiamente ad un pezzo di elettorato, non solo americano, piacciono. È, come altri leader del nostro tempo, tanto amato dai suoi supporters quanto odiato dai suoi detrattori, ma essendo già un volto notissimo al grande pubblico, riesce ad esaltare ancora di più questa frattura tra chi lo ama e chi lo detesta, non solo negli States.  È un personaggio che sfrutta i suoi eccessi fino in fondo, giocando sempre e solo in attacco, perché la cosa che nella vita gli è sempre riuscita meglio ed è in fondo l’unico schema di gioco che conosce. Sa stare al centro dei riflettori da sempre perché essendo da decenni un protagonista delle cronache e del gossip, è il suo spazio naturale e vi si muove con grande abilità, conoscendo benissimo le regole della comunicazione moderna, a partire dalla TV, che lo ha reso famoso come presentatore e personaggio. Ha trasformato per certi versi la politica odierna in una sorta di reality i cui lui è il protagonista indiscusso. Comunica con un’immediatezza unica, si tratti di parlare da un palco o di twittare nel mezzo della notte. Il suo stile sprezzante, polemico, a volte irriverente, il modo in cui si rivolge agli avversari o tratta giornalisti e media, sapendo che comunque loro non possono fare a meno di lui, è diventato un modello per centinaia di politici e leader populisti. Non è stato il primo a usare questo tipo di toni, ma è indubbiamente quello che ha esaltato di più questo modo di rapportarsi con gli altri, fossero i suoi rivali o i media.

Trump è unico nel suo genere sotto molti punti di vista anche rispetto alla storia della politica americana. La cosa che gli riesce meglio è scagliarsi contro l’establishment, contro la politica politicante di Washington, le elites economiche e finanziarie, le stesse da cui proviene anche lui, per arringare i suoi elettori tipo, la base repubblicana più radicale e conservatrice, ma anche tutti quegli sconfitti della globalizzazione che hanno visto in lui già quattro anni fa la possibilità di dare una picconata al tanto odiato “sistema”.

Probabilmente Trump, senza tradire il suo modo di essere, alla fine seguirà soprattutto se stesso nella sua imprevedibilità, come ha detto recentemente anche un attento osservatore della poltiica amercana come Gianni Riotta, definendolo “uno stratega del caos”[2]. È davvero difficile interprentarlo e prevederne le mosse. Proverà a vincere negli stati incerti, tra il sud-ovest e la fascia del Midwest, scorrazzando tra la Rust belt e le zone più rurali del paese, cercando di compattare la base repubblicana che in gran parte lo sostiene senza indugi e che si riconosce nel suo modo di essere, confidando di riuscire a portarne a votare quanti più possibile. Cercherà di usare a proprio vantaggio polemiche e accuse  dell’intellighenzia intellettuale e artistica che lo attacca da anni. Probabilmente le proteste possono pure aiutarlo a compattare il suo elettorato e a mobilitarlo. Non c’è da stupirsi se rivedremo una riedizione del Trump di quattro anni fa, con toni contro Biden e Obama molto simili a quelli usati contro lo stesso Obama e la Clinton. Con l’aggiunta, questo anno, di molti altri nemici contro cui scagliarsi. Ma non dovremo stupirci se davvero il confronto tra Trump e Obama dovesse intensificarsi ancora, che alla fine del salmo sia proprio l’ex presidente, ad essere oggetto dei suoi attacchi più diretti.

Quanto sta avvenendo oggi nel paese, soprattutto a causa del Covid, potrebbe aver cambiato davvero il campo da gioco, e non è dato sapere, al momento, se e quanto potrebbe davvero penalizzare Trump. Il cambiamento dello scenario spingerà probabilmente il Presidente uscente a optare per una strategia diversa da quella magari più istituzionale e classica che qualche suo consigliere vorrebbe dopo 4 anni di mandato. Ma adesso la campagna elettorale e le sue strategie subiranno cambiamenti. In questa fase storica, dove più delle proposte parlano per ora le polemiche e le proteste è chiaro che molto del risultato finale potrebbe dipendere dalle emozioni che verranno suscitate negli elettori, più sull’essere contro qualcosa o qualcuno che  a favore.

Per quanto si sforzi Joe Biden resterà difficilmente credibile come simbolo di innovazione, suscitando emozioni e speranze paragonabili ad Obama con il suo “Yes we Can”. Di qui l’esigenza di un soccorso del suo amico e compagno di partito, che può provare a parlare ancora all’America progressista e arrabbiata,  animando soprattutto lo spauracchio di una seconda vittoria di Trump più che qualche nuova suggestione idealistica.

Trump dal canto suo proverà anch’egli a parlare alla parte più arrabbiata dei suoi elettori e forse potrebbe cercare lui stesso lo scontro in campo aperto con tutti i suoi rivali, per bissare il successo di 4 anni fa. Ma dopo il dramma di questi mesi, gli errori commessi e le polemiche infinite, e soprattutto dopo 4 anni passati nello Studio Ovale, non sarà affatto facile tornare a vestire i panni del ribelle anti-sistema. Per quanto abile comunicatore, capace di capire gli umori della sua gente e assecondarli, questa volta non è detto gli riesca fino in fondo, anche se è molto probabile che ci proverà lo stesso fino all’ultimo.

Enrico Casini è Direttore di Europa Atlantica


[1]   https://www.nytimes.com/2020/06/25/upshot/poll-2020-biden battlegrounds.html?action=click&module=Top%20Stories&pgtype=Homepage

[2] https://www.huffingtonpost.it/entry/donald-trump-lo-stratega-del-caos_it_5ef1c08bc5b6da3abcb0acb4

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