BIDEN: RILANCIO E CONTINUITÀ PER LA NATO

Quali prospettive future per l’Alleanza Atlantica con la presidenza di Joe Biden? L’analisi di Karolina Muti e Alessandro Marrone (IAI)

Con la vittoria di Joe Biden nella corsa per diventare il 46°mo presidente degli Stati Uniti, l’Alleanza Atlantica tira, per molti versi, un sospiro di sollievo. Da un lato perché le elezioni si sono svolte regolarmente con un normale ricambio al vertice presidenziale, peraltro tramite un’affluenza record ed una corrispondenza tra conquista del voto elettorale e dei collegi elettorali. Ciò è importante per la NATO perché i detrattori del modello Occidentale, o chi vuole imporre a livello internazionale modelli alternativi, come Cina o Russia, aveva gli occhi ben puntati su Washington, per poter insinuare ancora una volta la disfunzionalità della democrazia, come di un sistema con troppe crepe al suo interno, e dunque minarne la credibilità come uno tra i valori fondanti dell’Alleanza Atlantica. L’attacco il 6 gennaio alla sede del Congresso da parte di manifestanti pro-Trump purtroppo ha costituito un fatto molto grave e dall’alto impatto simbolico, che ha spianato la strada in tutto il mondo esattamente a questo tipo di critiche alla democrazia occidentale. Starà all’intera classe dirigente americana porvi rimedio. Al tempo stesso, l’insediamento dell’amministrazione Biden comporta una serie di effetti positivi su molti dossier in agenda NATO, nonché sullo stesso modus operandi e sul clima all’interno e all’esterno dell’alleanza.

Il rilancio del dialogo multilaterale, verso un nuovo Concetto Strategico

Per la NATO, messa a dura prova negli ultimi quattro anni, si tratta di un indiscusso salto di qualità sia nell’approccio di fondo sia nel tono della presidenza statunitense. Biden promette infatti di mostrare lo spessore, l’esperienza, e l’aderenza ai valori del multilateralismo, del consensus-building, dell’ordine liberal-democratico e dei diritti umani, che servono al rilancio dell’Alleanza. Lo ha dimostrato nella sua lunga carriera politica da senatore, nella quale ha spesso giocato un ruolo di mediazione e creato alleanze trasversali tra democratici e repubblicani, anche sui temi di politica estera, abilità che tornerà utile per ricucire le fratture con gli alleati europei. Così come torneranno utili l’esperienza e l’approccio maturati nel tempo dai membri della sua amministrazione quali il Segretario di Stato Antony Blinken, il Segretario alla Difesa Lloyd J. Austin e il Consigliere per la Sicurezza Nazionale Jake Sullivan.

Eppure, c’è da dire che negli ultimi quattro anni l’alleanza ha dimostrato una resilienza e capacità di adattamento e risposta per nulla scontata, in un certo senso anche nonostante o a prescindere dalla leadership americana: dal mantenimento della Enhanced Forward Presence (EFP)sul fianco est per rafforzare difesa collettiva e deterrenza, all’introduzione di Gender Advisors in tutte le missioni Nato, dalla creazione del Nato Strategic Direction South per analizzare meglio le minacce provenienti dal vicinato a sud, fino alla all’attivazione del Euro-Atlantic Disaster Response Coordination Centre per contribuire alla lotta alla pandemia, o al ruolo giocato nella mediazione tra Grecia e Turchia con la creazione di un meccanismo di de-confliction militare.L’azione dell’Alleanza comprende tanto il livello strategico, come la decisione di considerare il cyber e lo spazio come domini alla pari con quelli classici, quanto quello capacitivo/operativo, ad esempio con la firma della lettera d’intenti per lo sviluppo comune di un sistema di difesa aerea e missilistica tra 10 alleati (compresa l’Italia) nel quadro dei High VisibilityProjects (HVPs).

L’amministrazione Biden ha le carte in regola per aggiungere solidità, qualità, credibilità e respiro strategico a questo attivismo multidimensionale. Ciò comporterà probabilmente un rilancio della Nato come sede in cui confrontarsi tra alleati, costruire il consenso e far confluire percezioni di minacce e interessi diversi tra loro, e, ultimo ma non per importanza, affrontare le più pressanti problematiche di sicurezza dei propri membri. Ciò presuppone di fare affidamento non solo sull’articolo 5 sulla difesa collettiva, ma anche ai meno noti articoli 2 e 4 del Trattato di Washington. Certamente Biden sarà molto più attento del suo predecessore ai valori cardine dell’Alleanza – democrazia, libere istituzioni e stato di diritto – riportati nel preambolo e nell’articolo 2 del Trattato, pur senza arrivare probabilmente a strappi irreparabili con la Turchia, e cercherà di evitare le guerre commerciali con gli alleati europei che hanno caratterizzato la presidenza uscente. Al tempo stesso, la propensione al dialogo multilaterale dovrebbe favorire la discussione degli interessi di sicurezza dei Paesi membri anche dove la NATO non ha immediate prospettive operative, come sancito appunto dall’articolo 4.

In quest’ottica, l’amministrazione Biden apre la strada ad un nuovo Concetto Strategico per l’Alleanza, da elaborare nel 2021 a più di un decennio dall’adozione del documento di Lisbona tuttora in uso e sulla scia del processo NATO2030 avviato lo scorso anno. Un’occasione importante per gli alleati europei per incidere sulla visione futura di una NATO proiettata al futuro in termini di temi e priorità.

Impegno stabile in Europa, in diminuzione in Medio Oriente e Nord Africa

Al netto del cambio dei toni, su alcuni contenuti l’amministrazione democratica manterrà comunque dei punti segnati da quella repubblicana e che godono di un consenso bipartisan a Washington. In primo luogo, chiedendo agli europei di fare la propria parte per garantire la sicurezza del Vecchio Continente, su tutti i fronti: dall’aumento delle spese per la difesa, al rafforzamento delle proprie capacità tecnologiche e militari, al prendersi la responsabilità di intervenire nel burrascoso vicinato e rafforzare quindi, con i fatti e non solo a parole, il “pilastro europeo” dell’Alleanza.

Da parte europea, sarebbe un errore colossale adagiarsi e considerare la presidenza Biden come un ritorno al business as usual nelle relazioni transatlantiche. Quella che potrebbe infatti sembrare una inversione di tendenza della leadership americana lo è solo in parte. Per quel che riguarda, ad esempio, il vicinato meridionale, l’amministrazione democratica giocherà sì un ruolo più rilevante nella regione del Medio Oriente e del Nord Africa, ma lo farà in maniera simbolica, più per lanciare un messaggio politico-strategico ai competitors coinvolti nei vari conflitti nella regione, come Cina o Russia, che per affrontare decennali problemi regionali. La volontà di impegnarsi militarmente il meno possibile in questa regione, già manifestata peraltro proprio dall’amministrazione Obama di cui Biden era vicepresidente, sarà molto probabilmente un punto fermo della nuova amministrazione in continuità nei fatti se non nei toni con Trump.

Gli alleati europei, compresa l’Italia, dovranno quindi fare i conti con una disponibilità della NATO limitata a missioni contenute quanto a dimensioni e ambizioni, concentrate altro soprattutto sul supporto a stati partner tramite attività di Defence Capacity BuildingSecurity Force Assistance. L’amministrazione democratica sarà probabilmente più disponibile a sostenere uno sforzo europeo di stabilizzazione regionale, sia esso articolato tramite la NATO, l’UE o – nella migliore delle ipotesi – con una cooperazione tra l’Alleanza e l’Unione, ma attraverso un investimento politico-militare statunitense comunque modesto.

L’amministrazione Biden rassicurerà e ricucirà relazioni con gli alleati in Europa, ma questo non si tradurrà in un ulteriore aumento del contributo concreto alla sicurezza e difesa collettiva del Vecchio Continente rispetto a quanto già succede ora. In altre parole, l’impegno militare statunitense sul fianco est proseguito ininterrottamente dal 2014 in chiave di deterrenza verso la Russia continuerà senza scosse, ma l’Europa di per sé non diventerà una priorità per gli Usa. Con una certa probabilità, Washington avrà un atteggiamento più assertivo verso Mosca, ma tenterà di salvaguardare il trattato New START- New Strategic Arms Reduction Treaty in scadenza a febbraio 2021, e manifesterà una accresciuta attenzione alla revisione del Trattato di Non-Proliferazione delle armi nucleari (NPT), altro appuntamento importante nel 2021.


Priorità alla Cina, attenzione all’ambiente e al gender balance

Inoltre, le priorità globali dell’agenda americana verranno imposte con più efficacia e forse anche maggiore successo agli alleati, senza più le tensioni proprie della presidenza Trump. Queste includeranno innanzitutto la pressione per un allineamento in chiave di contenimento della Cina, e a fianco degli Stati Uniti su sovranità digitale e tecnologica. L’idea ventilata da Biden di un “summit delle democrazie” rientra nella logica di riaffermare a livello mondiale i pregi e la forza del modello democratico occidentale rispetto all’alternativa autoritaria cinese, o russa, anche se non sono chiari né i contorni dell’iniziativa né i suoi possibili effetti.

Vi sarà più impegno nella lotta al cambiamento climatico– vedasi il rientro degli Usa negli Accordi di Parigi promesso da Biden- e per la parità di genere. Questi ultimi due punti si potrebbero tradurre in una sensibilità maggiore e iniziative specifiche in seno alla Nato, volte rispettivamente a promuovere una difesa più sostenibile e “green”, e a colmare il gender gap nelle forze armate alleate.

In più, volenti nolenti, la pandemia imporrà sull’agenda dell’Alleanza un minimo di attenzione agli strumenti “civili” che potrebbero essere in futuro affinati e/o migliorati ulteriormente. Di fronte a eventi della portata dell’attuale crisi sanitaria infatti, anche per la Nato l’aspettativa dei suoi membri sarà quella di fare la propria parte di fronte a emergenze come il Covid-19.

Implicazioni diverse per gli alleati europei…

Se la Nato può tirare un sospiro di sollievo, non è necessariamente così per alcuni alleati. Da Varsavia e Budapest ad esempio, le congratulazioni a Biden sono arrivate in ritardo, e in più inizialmente non per la vittoria ma per una buona campagna elettorale e per il “lavoro eccellente”, avvallando indirettamente le tesi su brogli elettorali avanzate da Donald Trump. Questa gaffe ha fatto finire i due alleati accanto a Paesi come l’Iraq o il Messico in termini di accoglienza a dir poco tiepida della nuova presidenza. La Slovenia, invece, si è addirittura congratulata con Trump e non con Biden.

La Polonia, che ha saputo costruire un ottimo rapporto bilaterale con Trump beneficiandone su vari dossier, potrebbe veder diminuire la propria influenza, e dover tornare a sgomitare per ottenere quello stesso livello di attenzione del suo alleato-chiave all’interno dei consessi NATO, senza inoltre poter contare su un’affinità di vedute.

Anche le controverse azioni dell’alleato turco, come l’acquisto del sistema di difesa aerea e missilistica russo S-400, vedranno un atteggiamento degli Stati Uniti più deciso e volto a costruire un consenso tra gli alleati per far pressioni congiunte su Ankara, tanto sulla politica estera quanto su quella domestica, ma senza strappi drastici. Non ci sarà dunque una “revisione” dell’impegno democratico degli alleati come palesato dal candidato Biden in campagna elettorale, ma piuttosto una pressione sostenuta, per non indebolire la già fievole coesione dell’Alleanza. Com’è sempre stato per la Nato in quanto alleanza politico-militare, la ratio strategica verrà considerata prevalente rispetto a quella dei principi e dei valori.

La vittoria di Biden potrebbe avere un impatto non univoco anche per alleati insospettabili come la Germania. Se, da un lato, è evidente il salto di qualità che faranno, quasi in automatico, i rapporti tra Washington e Berlino, dall’altro le richieste americane per un ruolo molto più attivo della Germania nella sicurezza e difesa del Vecchio Continente saranno più continuative, specifiche e ambiziose rispetto a quanto già fatto da Trump. Questo potrebbe mettere Berlino alle strette, e forse è un bene, dato che il rischio sarebbe stato, proprio per l’alleato tedesco, di ricadere in un placido sonno di mancata iniziativa, sotto la parvenza di una seconda fase della pax americana. Pericolosi dibattiti interni alla classe politica e all’opinione pubblica tedesca, come la messa in discussione delle responsabilità di nuclear-sharing nel quadro della Nato, riceveranno probabilmente tolleranza zero da parte dell’amministrazione Biden, e al tempo stesso non troveranno più in Trump un motivo specifico per diffidare dell’ombrello di sicurezza americano.

…e un impegno comune per tutta l’Europa

In conclusione, l’elezione di Biden è una buona notizia per il futuro della Nato, ma i 4 anni di Trump non vanno considerati tuttavia solamente un’infelice eccezione. Il “modello” Trump ha fatto in tempo a radicarsi in varia misura, trovando terreno fertile in Europa e tra partner e rivali dell’Alleanza. Il presidente uscente nel 2020 è stato votato da un numero di elettori altissimo, e le istanze di protezionismo economico, disimpegno militare, sfiducia nelle istituzioni multilaterali, resteranno forti nel panorama politico repubblicano. Dare quindi per scontato il security umbrella americano come esclusiva garanzia di sicurezza in Europa è fuorviante e pericoloso. Durante la presidenza Biden l’Europa dovrà riguadagnarsi la fiducia di ben più della metà democratica degli Stati Uniti attraverso una rinnovata alleanza fondata più solidamente su condivisione degli oneri e delle scelte, ed una maggiore integrazione e rafforzamento del pilastro europeo dentro e fuori la NATO. Anche perché i prossimi 4 anni, nello scacchiere internazionale, passano presto.

Karolina Muti, Ricercatrice nei Programmi Sicurezza e Difesa dell’Istituto Affari Internazionali (IAI) e Fellow presso il Programma di Pan-European Junior Fellowship dello European Council on Foreign Relations (ECFR) e della Compagnia di San Paolo.

Alessandro Marrone, Responsabile del Programma Difesa IAI, Docente presso l’Istituto Superiore di Stato Maggiore Interforze (ISSMI) del Ministero della Difesa.

Testo aggiornato il 12 gennaio 2021


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Immagine tratta dal sito Nato.int

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