LA POLITICA ENERGETICA USA NELL’ERA POST TRUMP: QUALI POSSIBILI CONSEGUENZE EUROATLANTICHE?

Come potrebbe cambiare la politica energetica americana con la Presidenza di Joe Biden. Ne parla Gabriele G. Marchionna in questa analisi

In un’era di flussi globali, potenze emergenti e interconnessione permeante, le relazioni transatlantiche sono sembrate, in alcuni momenti, aver perso l’orientamento. I diversi domini politici delle relazioni internazionali, come sicurezza, ambiente, energia, economia, ecc. trovano una forzata traduzione nelle relazioni più strettamente transatlantiche, influenzate a loro volta da rapporti fra attori individuali o tra sistemi di governo, culturali, economici e di sicurezza. Il mandato firmato Donald Trump è stato poco prevedibile per l’Unione Europea. Anche e non solo con un Covid-19 pull-factor, la tempesta globale che ridefinisce rapporti e gerarchie di potere ha trainato tutti indistintamente verso un momento verità. Al contempo, la ridefinizione di rapporti interni, lo sviluppo di maggiore consapevolezza su capacità, mezzi e misure per ridefinire il proprio peso sul globo, ha condotto l’UE a valutare la reale necessità di ricucire i rapporti ormai sfibrati con l’altra sponda dell’Atlantico.

In quest’ottica, il dominio della sicurezza è veicolato anche sul dossier energetico[1]. Le sfide ambientali, del clima e della transizione tessono un filo euroatlantico di cooperazione necessaria e conveniente, sia per la sponda est con il Green Deal Europeo sia dall’altra con Joe Biden e la sua sensibilità al tema, ampiamente espressa in campagna elettorale[2]. Tuttavia, se tale condizione soddisfa il desiderio e al tempo steso il sogno di un’Occidente alimentato con energia pulita, il cambio della “catena di comando” USA gioverà realmente come fa sperare? La clean energy riuscirà a colmare la sterilità dei rapporti USA-UE dell’era Trump? Quali conseguenze potranno verificarsi?

Infatti, nell’apparentemente riconfermato contesto di “America first” e “China second”, l’internazionalista Biden mostra realmente una volontà di diventare il faro dei sostenitori euroatlantici, nonostante grandi riforme interne che non mancano nel suo programma. Economia, lavoro, infrastrutture e green energy. La ricetta[3] di Biden non si mostra così lontana dagli interessi europei.

Il Piano Biden: cosa cambia?

Attore attivo nella geopolitica del petrolio, l’amministrazione Trump è stata abbastanza aggressiva verso l’OPEC nel 2018, quando il brent minacciava di salire a 100$/bar, e collaborato con OPEC+ per accordarsi circa i tagli alla produzione nella crisi in piena pandemia nell’anno corrente. Negazione degli sviluppi sui cambiamenti climatici, opposizione alle politiche con energie rinnovabili, revisione dell’accordo di Parigi e cancellazione del Clean Power Act sono solo alcuni degli obiettivi perseguiti dall’amministrazione Trump. L’incremento delle industrie fossili di gas e petrolio e il blocco dello sviluppo delle politiche climatiche ne sono la loro manifestazione più palpabile. Al contempo, il deterioramento dei rapporti transatlantici e la costante instabilità, ancor più accentuata dalla sfida pandemica, hanno reso il rapporto USA-UE decisamente bisognosi di essere ricucito. L’odierno mercato petrolifero è totalmente fragile, i produttori di OPEC+ attendono una domanda che tarda a crescere e controllano l’offerta eccessiva. Il cambio di comando USA determinerà la loro influenza sul mercato, prevista in stile Obama, per coerenze e convenienza. 

La campagna elettorale di Joe Biden invece è stata tutt’altro che “dormiente” e ampiamente in contrasto con quella trumpiana. Dopo aver fatto tremare il comparto più tradizionale del settore energetico e rallegrato gli enti del settore che hanno posto l’accento sul potenziale rientro nella leadership climatica[4], il divario politico sulla transizione energetica di Biden e il programma di Trump è stato ben definito con la nomina del suo Team per la transizione energetica, tutti ex amministrazione Obama[5]. Il super-piano energetico tanto dibattuto durante la corsa elettorale prevede un investimento di due trilioni di dollari volti a prendersi cura dell’elettorato tradizionale ma dando una grande spinta green al settore energetico. Il 2035 è definito anno dello Standard Neutrale tecnologico per utility e operatori di rete (Energy Efficiency and Clean Electricity Standard) per raggiunge eun mix energetico a zero emissioni nette di carbonio. Ampio spazio alle rinnovabili e al nucleare ma anche a gas e carbone, previo equipaggiamento degli impianti con sistemi Carbon Capture and Storage.

Sul clima, il cavallo di battaglia è rivolto all’Accordo di Parigi. Eliminare le emissioni di carbonio entro il 2035, infrastrutture per la clean energy e catene del valore totalmente green sono i focal point su cui Biden ha dichiarato di volersi concentrare. Si parla della nascita della Federal Energy Regulatory Commission come attore regolatore. Congiuntamente, è prevista la creazione di dell’Arpa-C (Advanced Research projects Agency on Climate), ossia un’agenzia dedicata a ricerca e sviluppo per la clean energy. E ancora, riqualificazione energetica degli edifici pubblici, potenziamento infrastrutture per il trasporto e sviluppo dei posti di lavoro nell’automobilistico, con particolare riferimento alle auto elettriche. Nessuna traccia invece di una linea sul carbon pricing, ossia la tassazione sulle emissioni di carbonio.

A questo si aggiunge il piano molto criticato da Trump sull’eolico offshore e sull’apertura al mercato delle auto elettriche. Tuttavia, essendo gli Stati i veri deputati al processo decisionale, le pressioni di Trump per rallentare le “Zero net emission” policy dovranno interfacciarsi con la grande possibilità che le rinnovabili continuino a crescere in quanto ottime competitor dei combustibili fossili. Considerato il boom del settore energetico statunitense negli ultimi anni ma anche l’impatto negativo della pandemia e dal crollo dei prezzi di greggio e gas, la riduzione del metano dagli impianti di petrolio e gas e il divieto di nuovi contratti di locazione su terre e acque federali sono elementi centrali nel manifesto di Biden sul cambiamento climatico. Per quanto riguarda le locazioni federali e i relativi impatti sulla produzione inshore è importante notare che le società che ora controllano la superficie federale sono tra i maggiori produttori statunitensi.

In ultima battuta, le decisioni e le soluzioni di Biden per l’energia potrebbero coinvolgere anche l’Iran nell’accordo sulle sanzioni nucleari. Biden vorrebbe procedere per ordine esecutivo, senza passare dal Senato, ma indica la necessità che l’Iran rispetti i termini del JCPOA (Joint Comprehensive Plan of Action). Su questo fronte, il coinvolgimento degli alleati e in primis dell’UE è doveroso.  

Implicazioni interne

Le influenze chiave che modellano l’industria energetica statunitense saranno probabilmente le forze di mercato, proprio come lo erano sotto Barack Obama e Donald Trump. Ma il cambio di governo federale avrà alcune conseguenze significative, tra le quali:

  • Una spinta per l’eolico offshore: su cui Trump ha sbeffeggiato Biden in campagna elettorale, diventa un punto di forza;
  • Restrizioni allo sviluppo di petrolio e gas:non ci sarà un divieto di fracking, ma Biden si è impegnato a porre fine alle vendite di nuovi contratti di locazione per lo sviluppo di petrolio e gas su terreni e acque pubbliche;
  • Nuovi ostacoli per i progetti infrastrutturali di petrolio e gas, assegnando permessi federali solo previa valutazione delle implicazioni in termini di inquinamento;
  • Supporto per veicoli elettrici:si parla di 4 milioni di veicoli elettrici sulle strade degli Stati Uniti entro il 2030, quasi il 60% in più rispetto a quelle previste sotto le regole dell’amministrazione Trump. Tuttavia, l’impatto sulla domanda di carburante degli Stati Uniti in questo decennio sarà l’1,5% circa del totale;
  • Nessun rapido allentamento delle sanzioni all’Iran: pur dissentendo sulla decisione di Trump di escludere gli Stati Uniti dall’accordo internazionale sul programma nucleare iraniano, i negoziati su un possibile accordo attenderanno in primis le elezioni iraniane a giugno 2021, e non vi è alcuna garanzia che i due paesi raggiungeranno un accordo.

Le elezioni arrivano mentre i gruppi energetici stanno attraversando un periodo doloroso causato dal calo dei prezzi del petrolio, dalla crisi del coronavirus e dall’onda della transizione, anche culturale. Dal punto di vista degli idrocarburi, invece, la linea è tracciata da tempo. Del resto, bisogna considerare che il divieto di esportazione di idrocarburi imposto da Nixon nel ’73 è stato rimosso da Barack Obama e conseguita anche da Donald Trump, mosso dal desiderio di depotenziare gli avversari sul mercato. Un mercato che, anche in seguito all’attacco a Capitol Hill, ha visto l’energia – con finanzia, industria e facilities – tra i comparti più in crescita, segno che la fiducia e l’ottimismo riposti nel futuro superano di gran lunga le paure suscitate dall’instabilità interna.

L’UE alla ricerca di un peso nel mondo

In tema di energia e clima, Stati Uniti e l’Unione europea non sono mai stati così distanti. Dall’abbandono dell’Accordo di Parigi il 4 novembre 2020, le società petrolifere americane continuano ignorare le politiche di diversificazione energetica dei governi e delle compagnie energetiche europee.

Posto il pubblico interesse di contrastare la Russia sia sul fronte energetico che nella difesa del fronte NATO, Biden ha tutti i motivi per giocare un ruolo chiave nel riallacciare i rapporti con l’Europa. Le tattiche per terminare il NordStream2 (asse energetico Berlino-Mosca) rendono chiaro lo scenario geoeconomico che si era già configurato sotto Trump. Il mercato europeo non può cadere nel dimenticatoio e probabilmente il terreno su cui giocare una diversa competizione USA – Russia è identificabile in Polonia con il Baltic Pipe. Dalla Norvegia alla Polonia attraversando la Danimarca, il gasdotto nordeuropeo è il campo su cui gli USA potrebbero voler piazzare il proprio GNL come interposizione antirussa, salvaguardando analogamente i rapporti tra l’amministrazione e i giganti dello scisto americano. C’è comunque da considerare le conseguenze della pandemia sul mercato energetico europeo: calo della domanda e crollo dei prezzi. È altresì considerabile che la selezione delle fonti di approvvigionamento a basso inquinamento previste dal Green Deal europeo possa frenare o limitare i desideri americani. Tuttavia, la prospettiva ecologica di Biden può concentrare il core dei rapporti sul perseguimento di obiettivi green, rendendo il New Green Deal una causa comune.

In parallelo, gli USA non dimenticano il grande avversario su cui Biden non divergerà troppo dall’approccio trumpiano: la Cina. Considerata infatti la volontà di coinvolgimento di Pechino verso l’UE e l’ormai concertata consapevolezza di non avere una vera e propria autonomia strategica europea, riallacciare i rapporti USA-UE fa tirare un sospiro di sollievo sui due fonti dell’Atlantico.  Da una parte, l’UE può tentare di portare a termine la sua fase di transizione socioeconomica, puntando maggiormente sulla costruzione di una politica interna univoca che coinvolga tutti gli Stati Membri, dall’altra gli USA, pur non abbandonando completamento il concetto di “guardiano d’Europa” si stanno spingendo verso una politica di disengagement dagli affari di Difesa europea spingendo quest’ultima ad un maggior senso di responsabilità dall’altro, il riconoscimento dell’importanza di tenere saldo l’asse euroatlantico per non sprofondare contro le pressioni russe e cinesi.

C’è quindi la necessità di un’Unione forte, desiderosa e contestualmente anche obbligata ad assumere posizione in una nuova età dell’oro delle relazioni transatlantiche. Nonostante l’UE sia un alleato naturale di Biden, è richiesto un contributo pratico nel completamento del progetto euroatlantico, con una definita politica estera che superi la cosiddetta “regola dei doppi standard”, dove gli interessi economici immediati e a breve termine superano il pensiero strategico a lungo termine.

Diritti umani, industria e hi-tech nel confrotno con la Cina, energia green e commercio nel confronto con la Russia, senza tralasciare il dossier Medio Oriente, su cui eventuali punti chiave di cooperazione USA-UE sono tutti da definire. Sicuramente Biden non assume la linea del “Make America Great Again” del suo predecessore, ma lo spirito a stelle a strisce lo condurrà ad una politica di mantenimento costante del proprio spessore, probabilmente con quell’appeal diplomatico “obamiano”.

Citando un Abraham Lincoln nel discorso inaugurale del 1861, è evidente che “non siamo nemici, ma amici. Non dobbiamo essere nemici. Sebbene la passione possa essersi tesa, non deve rompere i nostri legami di affetto”. Biden rappresenta lo snodo con cui quattro anni di logorio vengono eliminati, evitando il deterioramento del blocco USA-UE.

Come valorizzare il fronte NATO?

Ci sono dossier particolari e scivolosi per gli USA e i suoi alleati. Sull’Iran come su Russia e Cina, Biden sa benissimo che deve salvaguardare diversi rapporti, sistemando il rapporto commerciale con l’UE. Se sulla Cina si sfrutterà il consenso congiunto di Repubblicani e Democratici nel perseguire (e continuare) una linea più dura di barriere commerciali, pur ribadendo l’obiettivo di modernizzazione delle regole per il commercio internazionale, per l’Arabia Saudita sembrerebbe esserci una volontà di collaborazione maggiore anziché lasciare “carta bianca”, come ha fatto Trump su questioni piuttosto delicate come lo Yemen.

In questo reticolato di scommesse sulle quali è largamente prematuro approfondire, la politica estera di Biden si mostra molto attiva, soprattutto sul perno di stabilità europea degli ultimi 70anni: la NATO. L’ex vicepresidente e senatore ritiene che gli Stati Uniti possano affrontare al meglio le minacce globali guidando alleanze di stati democratici[6]. Questo approccio vale anche per il dossier energetico, posto da pochissimo nel concetto di sicurezza dell’Alleanza e su cui i ricercatori dell’ENSEC COE[7], il Centro di Eccellenza per la Sicurezza Energetica, continuano a dibattere affinché l’energy security diventi definitivamente parte delle Standardization Agreements (STANAG)[8].  La cornice suggerisce quindi un rafforzamento della coesione interna all’Unione, maggiore cooperazione e fiducia nell’Alleanza ma soprattutto – con grande interesse di Biden – sviluppare politiche ad alta intensità commerciale USA-UE. Misure economiche aggressive minano la coesione politica e soffocano la crescita economica, rendendo gli Stati membri meno disposti ad acquistare GNL statunitense, rallentando così la diversificazione delle fonti e riducendo la sicurezza energetica dell’UE, ossia aumentando la dipendenza dalla Russia.

Il commercio energetico potrebbe diventare un’opportunità di garanzia ed elemento caratterizzante dei rapporti interni alla NATO, promuovendo l’interdipendenza fra i Membri e mitigando le trappole di “ricatto energetico” impiantate dalla Russia in Ucraina e Bielorussia. Altresì importanti sono quei fattori di sviluppo non poco rilevanti che il comparto energetico porta con sé, ossia digitalizzazione e sviluppo tecnologico[9], elementi su cui l’Europa in primis sta puntando in concomitanza con gli obiettivi climatici. Energia e tecnologia, insieme ad infrastrutture critiche e media, rientrano nelle New Dependencies[10] su cui si muovono le pedine nell’era della hybrid warfare. L’energy security investe un ampio ventaglio di interazioni economiche, politiche, geografiche e purtroppo anche militari. Lo scenario ricco di vulnerabilità sconfinate richiede che la NATO giochi la sua parte e con essa, i suoi Stati membri.  

Gianmarco Gabriele Marchionna è Segretario e Junior Analyst per Analytica for Intelligence and Security studies.


[1] G. G. Marchionna, ENERGY SECURITY E TRANSIZIONE: LA DIMENSIONE EUROATLANTICA, Europa Atlantica, 5 Novembre 2020.

[2] C. Welch, S. Gibbens, Trump vs. Biden on the environment—here’s where they stand, National Geographic-Science, October 19, 2020.

[3] C. Festa, La ricetta di Biden per l’economia Usa: più infrastrutture ed energia verde, tasse per i colossi hi-tech, IlSole24Ore, 9 novembre 2020.

[4] D. Snieckus, US renewable energy industry cheers Joe Biden election win as ‘beautiful day’, RECHARGE, 7 November 2020.

[5] B. Solomon, Ritorno al futuro per Joe Biden: il suo team di transizione guarda a Obama, Rinnovabili.it, Novembre 11, 2020.

[6] T. Prince, “How Will Biden Change U.S. Policy on Russia, Iran?”, Radio Free Europe, November 07, 2020.

[7] NATO ENSEC COE, Energy Security Center of Excellence.

[8] NATO ENSEC COE, “Energy Security: Operational Highlights”. No 7, 2014.

[9] G. G. Marchionna, “Internet of Energy: è competizione globale”, ISPI Global Watch – Geoeconomia, 16 ottobre 2020.

[10] J. Shea, “NATO in the Era of Global Complexity”, CARNEGIE Europe, November 28, 2019.


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