STATI UNITI ED ASIA CENTRALE: UNA POLITICA ESTERA IN LINEA DI CONTINUITÀ NELLA NASCENTE AMMINISTRAZIONE BIDEN

La nascente amministrazione americana guidata da Joe Biden adotterà una politica in continuità con il recente passato verso i paesi dell’Asia Centrale? Ne parla Fabio Indeo in questa analisi.

A poche settimane dalla vittoria elettorale, il nuovo Presidente degli Stati Uniti Joe Biden dovrà assumersi il compito di delineare gli orientamenti in politica estera dell’Amministrazione Americana per i prossimi cinque anni. Indubbiamente, il contenimento della Cina nella regione Asia-Pacifico, i rapporti con la Russia, le sanzioni all’Iran saranno i dossier principali e più spinosi da affrontare: parallelamente, anche la definizione della politica da adottare nei confronti delle cinque repubbliche post-sovietiche dell’Asia Centrale (Kazakhstan, Kirghizistan, Tagikistan, Turkmenistan, Uzbekistan) rappresenta una delle questioni da dirimere per la nuova Amministrazione Biden, considerato che questi stati sono geograficamente posizionati in un’area di notevole rilevanza geostrategica – in quanto confinanti con l’Afghanistan – nella quale Russia e Cina esercitano “in condominio” (attraverso una temporanea divisione dei compiti che prevale su una futura potenziale rivalità) un’ influenza indiscussa sul piano economico e securitario.

A differenza dalla precedente Amministrazione, dalle prime dichiarazioni del nuovo Presidente Biden traspare la volontà di intraprendere un approccio maggiormente improntato sul tema della protezione dei diritti umani, sul rafforzamento della rule of law e sulla promozione di un processo di democratizzazione. Biden ha espresso forti critiche nei confronti della Cina in relazione alla  situazione degli Uiguri nella provincia autonoma dello Xinjiang, tema che necessariamente si riflette anche nelle relazioni con tre delle cinque repubbliche centroasiatiche in quanto Kazakhstan. Kirghizistan e Tagikistan confinano con lo Xinjiang: inoltre, in queste nazioni risiedono comunità di Uiguri sulle quali la Cina vorrebbe estendere un controllo preventivo in termini securitari, esigenza che spinge Pechino ad esercitare delle pressioni su questi stati (ad esempio per il loro rimpatrio) che di fatto condizionano alcune loro decisioni di politica interna ed estera.[1]

In sostanza però, Biden non appare intenzionato a stravolgere la recente Strategia degli Stati Uniti per l’Asia Centrale 2019-2025 adottata dal suo predecessore, anche perché gli obiettivi chiave di Washington nella regione rimangono inalterati, ovvero promuovere la sovranità, l’indipendenza e l’affermarsi di governi democratici; la risoluzione dei conflitti regionali; rafforzare la cooperazione politica ed economica regionale, affinché prevalgano i principi dell’economia di mercato nella sfera energetica e dello sviluppo delle risorse naturali, sottraendole di fatto all’influenza geopolitica sino-russa.[2]

La strategia sottolinea come la regione Asia Centrale sia vitale da un punto di vista geostrategico per la protezione degli interessi di sicurezza nazionale statunitensi, slegandoli però dal livello di coinvolgimento americano in Afghanistan: infatti, da un lato si evidenzia come le cinque repubbliche centroasiatiche debbano essere considerate come parte integrante di una regione indipendente, mentre dall’altro lato l’Afghanistan non deve rappresentare un fattore decisivo nelle relazioni tra Stati Uniti ed Asia Centrale.

Il format C5+1 è la cornice di cooperazione inclusiva con le repubbliche centroasiatiche lanciata dagli Stati Uniti nel 2015, strutturatasi nel corso degli anni secondo degli assi strategici fondamentali come la collaborazione per lanciare azioni congiunte contro il terrorismo, promuovere la competitività economica, lo sviluppo dei corridoi di trasporto.

Sulle orme del tour centroasiatico intrapreso dal Segretario di Stato Mike Pompeo nel 2020 – visita ufficiale in Kazakhstan ed Uzbekistan, i due stati chiave in termini di importanza economica ed in qualità di maggiori promotori del processo di cooperazione regionale ed integrazione economica, precedente al summit C5+1 tenutosi nella capitale uzbeka Tashkent – l’Amministrazione Biden dovrà impegnarsi nell’implementazione della strategia 2019-2025, attraverso lo sviluppo di relazioni bilaterali ma soprattutto promuovendo il format C5+1, che appare un efficace strumento per incentivare il dialogo tra le nazioni centroasiatiche supportando i loro sforzi volti a rafforzare una cooperazione regionale endogena, prettamente centroasiatica, ovvero fondata sugli interessi delle cinque repubbliche e non dipendente o dettata dagli interessi strategici di Russia e Cina

La nuova strategia americana per l’Asia Centrale trova infatti spunto dal mutato quadro geopolitico nella regione, in modo particolare a seguito dell’ascesa al potere del presidente uzbeco Mirziyoyev (successore di Islam Karimov), fautore di una politica di cooperazione economica e diplomatica  improntata sul miglioramento delle relazioni bilaterali con le repubbliche circostanti: per Washington, questa rinnovata propensione al dialogo centroasiatico rappresenta un’attraente “finestra d’opportunità” per rivitalizzare la presenza americana nella regione in termini economici e diplomatici, a seguito della progressiva marginalizzazione legata alla conclusione del progetto del Northern Distribution Network nel 2014 (corridoio logistico principalmente concepito per approvvigionare le truppe statunitensi impegnate in Afghanistan, che attraversava le repubbliche centroasiatiche beneficiarie a loro volta di investimenti, diritti di transito, accordi di cooperazione commerciale e di partnership militare).

Per queste ragioni, nella strategia di Biden l’Uzbekistan continuerà a svolgere un ruolo chiave nella regione, non soltanto come affidabile interlocutore nel dialogo politico o per considerazioni di natura economico-commerciale, ma anche per supportare gli sforzi volti ad inserire l’Afghanistan in un ampio quadro di cooperazione economica ed energetica che includa anche l’Asia Meridionale (India e Pakistan) e come tassello o hub logistico dei progetti infrastrutturali per rafforzare l’interconnettività regionale: l’Uzbekistan infatti è l’unica nazione ad avere una linea ferroviaria con l’Afghanistan, Termez-Hairaton-Mazar I Sharif, costruita nel 2009 anche grazie al supporto finanziario dagli Stati Uniti come snodo infrastrutturale strategico nell’ambito del Northern Distribution Network, mentre altri importanti progetti (in primis la sezione ferroviaria del corridoio Lapis Lazuli, che dall’Afghanistan attraverserà il Turkmenistan, il Caspio ed il Caucaso prima di arrivare in Europa) sono in corso di realizzazione.

Ciononostante, questo tentativo americano si innesta in un quadro geopolitico complicato in quanto Russia e Cina hanno rafforzato la loro influenza attraverso l’implementazione delle loro strategie regionali multilaterali come l’Unione Economica Euroasiatica e soprattutto la Belt and Road Initiative, per la sua dimensione inclusiva e per la possibilità di erogare ingenti prestiti e finanziamenti per dei progetti energetici ed infrastrutturali: parallelamente, sia Mosca che Pechino hanno mutuato il format di cooperazione statunitense del 5+1, promuovendo analoghi forum di dialogo politico-diplomatico con le repubbliche centroasiatiche.

Come in passato, il rinnovato interesse statunitense e la volontà di approfondire la collaborazione viene vista con favore dalle repubbliche centroasiatiche, in quanto consente di bilanciare l’influenza sino-russa attraverso il rafforzamento delle relazioni con un partner alternativo che rappresenta la maggiore potenza globale, potenzialmente capace perciò di realizzare investimenti per lo sviluppo agricolo ed industriale e di costituire un partner in ambito securitario, per rafforzare la stabilità sul piano nazionale e regionale. Allo stesso tempo, un eccessiva enfasi dell’Amministrazione Biden sul tema della democratizzazione, autoritarismo, diritti umani, rule of law rischia di raffreddare la volontà di collaborazione dei governanti centroasiatici, in quanto verrebbe percepita come un indebita ingerenza esterna nelle questioni politiche nazionali: in sostanza, si ripeterebbe lo scenario del 2005, quando a seguito della cosiddetta “rivoluzione dei tulipani” in Kirghizistan gli Stati Uniti vennero percepiti come la “longa manus” delle “rivoluzioni colorate” avvenute nello spazio post-sovietico – a causa del loro continuo richiamo alla tutela dei diritti umani e al processo di democratizzazione – favorendo un deciso irrigidimento dei governanti centroasiatici verso la collaborazione con Washington.

L’involuzione attualmente in corso in Kirghizistan rappresenterà il primo significativo banco di prova per Biden in Asia Centrale: infatti, la nazione sta vivendo la sua terza “rivoluzione” (innescata da moti popolari che contestavano il regolare svolgimento delle elezioni legislative) nella quale è emersa – grazie ad una campagna di intimidazione e violenza – la figura di Japarov (liberato dal carcere dai suoi seguaci nei giorni dell’insurrezione) il quale attualmente concentra nelle proprie mani la carica di presidente ad interim e di primo ministro, ed è pronto ad emendare la costituzione per poter correre alle presidenziali ed imprimere una svolta presidenzialista alla nazione un tempo definita “isola della democrazia” in Asia Centrale.

Fabio Indeo è dottore di ricerca in Geopolitica. Attualmente è Central Asian analyst presso NATO Defense College Foundation e membro del direttivo dell’Osservatorio Asia Centrale-Caspio


[1]Ayjaz Wan, Beyond “Grievance States” — Biden on Central Asia, Observer Research Foundation Online, November 10, 2020, https://www.orfonline.org/expert-speak/beyond-grievance-states-biden-on-central-asia/

[2]“United States Strategy for Central Asia 2019–2025: Advancing Sovereignty and Economic Prosperity”, US Department of State, February 5, 2020, https://www.state.gov/wp-content/uploads/2020/02/FINAL-CEN-Strategy-Glossy-2-10-2020-508.pdf


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