Visegrád ed USA2020: tra sicurezza, difesa europea e stato di diritto

Cosa potrebbe cambiare nei rapporti tra Stati Uniti e paesi del Gruppo di Visegrad dopo la vittoria di Joe Biden? Come potrebbe influire nei rapporti anche con l’Unione Europea? L’analisi di Teresa Coratella

Con l’Europa in piena seconda ondata pandemica e nel mezzo di difficili negoziati sul Recovery Fund, l’elezione di Joe Biden e Kamala Harris alla guida degli Stati Uniti costituisce un notevole cambio di rotta per il futuro dell’ordine globale di cui Bruxelles e Washington sono protagonisti in prima linea.

Molto è stato detto sulla reale portata del cambiamento che il Presidente eletto Biden deciderà di avanzare, nelle relazioni con i principali attori globali e nella risoluzione di crisi e dossier che negli ultimi anni hanno dominato l’agenda multilaterale. Malgrado il dibattito prolifico, è ancora troppo presto per capire, sebbene alcune nomine già proposte in vista del giuramento del 20 gennaio siano esplicative, come la prossima amministrazione americana intenderà procedere e quanto di quella a guida Trump deciderà di smantellare. I fatti di Capital Hill hanno fatto ancora più chiarezza sulla via di politica interna che il nuovo Presidente intende adottare. Sulla politica estera invece, dall’accordo sul nucleare con l’Iran, alla crisi libica, al conflitto arabo-israeliano fino ai rapporti con Cina e Russia, gli europei dovranno ancora attendere per comprendere come dialogare con Washington nel nuovo contesto pandemico e post.

Quello che ad oggi e tuttavia certo è che il continuo richiamo al multilateralismo fatto da Joe Biden in campagna elettorale potrebbe già costituire una garanzia per l’Europa stessa e per il futuro dei rapporti transatlantici, alla luce di un rinnovato spirito di cooperazione e dialogo.

Insieme al multilateralismo come cornice di confronto, i fatti d Capitol Hill hanno ulteriormente rafforzata l’importanza che il neopresidente Biden vorrà dare alla difesa dell’indipendenza dei processi e principi democratici e dello stato di diritto.  Washington e Bruxelles si sono trovate contemporaneamente a dover gestire tali temi in due momenti di estrema rilevanza per i rispettivi processi di integrazione politica. Da una parte le azioni intraprese e le decisioni adottate dal Presidente Trump, una sfida morale senza precedenti alla solidità del sistema democratico americano; dall’altra lo scontro interno all’UE tra i fautori e gli oppositori del principio di condizionalità dei fondi Recovery fund sulla base del rispetto dello stato di diritto, questione diventata presto baluardo della passata presidenza tedesca dell’UE, soprattutto vis-à-vis Polonia ed Ungheria, e sui cui la neo Presidenza portoghese dovrà svolgere un ruolo garantista.  

La posizione del Presidente eletto Biden su queste tematiche potrebbe costituire un nuovo stimolo per stimolare e migliorare un dialogo oggi troppo difficile tra istituzioni europee e stati membri e per garantire la solidità delle strutture democratiche europee in nome di un rinnovato rapporto transatlantico fondato su comuni valori e principi democratici.

I forti legami politici, economici e militari che uniscono Varsavia e Budapest agli Stati Uniti, potrebbero costituire una delle chiavi di svolta per sbloccare una situazione delicata che rischia di bloccare i processi decisionali in seno all’UE, blocco impensabile ed inaccettabile in era pandemica.

Quando guardiamo al gruppo Visegrád, è sempre necessario fare un dovuto distinguo di natura politica: Polonia ed Ungheria, seguite in misura minore dalla Repubblica Ceca, capofila di un forte euroscetticismo ed anti-europeismo soprattutto sui dossier come migrazione, sicurezza e Recovery Fund; dall’altra la Slovacchia più europeista ed aperta al dialogo con Bruxelles.

Questa differenza è ancora più marcata quando guardiamo ai rapporti bilaterali tra i 4 paesi e l’alleato americano. I fatti di Capitol Hill hanno reso tali divergenze ancora più profonde, con diverse prese di posizione vis-à-vis la tenuta democratica americana.

Nel caso della Polonia  l’alleanza con gli Stati Uniti costituisce un pilastro chiave della propria collocazione all’interno dell’UE vis-à-vis la Russia ed il dossier sicurezza. Trump poteva rappresentare un interlocutore naturale del governo a guida PiS. Basi militari, NATO e difesa europea, gasdotto North Stream 2 e posizione polacca anti-5G hanno costituito i temi principali di collaborazione tra la precedente amministrazione americana e la leadership polacca. La nuova Presidenza Biden certamente rappresenterà,  per i dossier sopracitati, un interlocutore naturale per Varsavia focalizzata sul rimanere interlocutore chiave di Washington tra quegli stati membri UE una volta parte del blocco sovietico. La posizione di Biden sulla Russia e l’importanza che deciderà di dare alle violazioni dei diritti delle minoranze e dello stato di diritto in Polonia potrebbero rappresentare un terreno difficile di dialogo, perlomeno nella fase iniziale di tessitura dei rapporti.

I fatti di Capitol Hill hanno provocato una reazione duplice ed opposta tra i leader di governo polacchi: da una parte, definiti dal Presidente polacco Duda una questione di politica interna in cui i diritti degli elettori sono stati chiamati in ballo ma su cui le istituzioni predisposte e soprattutto la forza della democrazia americano faranno da protezione; dall’altra, nessuna menzione da parte del Primo Ministro Morawiecki il quale ha invece presentato una forte posizione contro la censura dei social media a seguito della chiusura degli account di Trump.

Più complicato il nuovo rapporto Orban-Biden.Orban è stato da sempre tra i primi e principali sostenitori dell’America di Trump (senza smettere mai di strizzare l’occhiolino a Putin) considerato un baluardo contro l’“imperialismo moralista” democratico, ricevendo in cambio il sostegno trumpiano alle politiche migratorie attuate ed un indiretto sostegno alle decisioni in materia di stato di diritto, tema a cui la precedente amministrazione Obama diede diversa attenzione. Il rapporto sviluppatosi negli anni tra i due leader è stato fondato principalmente su una comune visione del sistema politico e meno su rapporti economici, se pensiamo anche all’apertura ungherese alla Cina ed alla BRI.

Orban dovrà adattarsi al nuovo corso statunitense per trovare una forma di collaborazione diretta. La nomina del diplomatico di lungo corso William Burns, forte critico del corso ungherese dettato da Orban, alla direzione della CIA arricchisce la difficoltà di un rapporto Budapest-Washington già partito in salita e completamente diverso e ribaltato rispetto a quello fondato sul rapporto previlegiato Trump-Orban.

Per quanto riguarda Repubblica Ceca e Slovacchia, l’interesse per un nuovo corso dei rapporti bilaterali deriva dall’importanza del rapporto transatlantico Europa-Stati Uniti come anche da alcuni dossier chiave. Per la Repubblica Ceca, oggi tra i paesi europei maggiormente colpiti dalla seconda ondata pandemica in termini di contagi e vittime, la questione sanzioni e l’impatto di esse sull’industria dell’automobile, dell’acciaio e dell’alluminio, settori chiave per l’industria nazionale; per la Slovacchia, un tema chiave sarà l’impegno americano in ambito climatico, tema caro al paese, soprattutto a livello multilaterale e nella cornice del Recovery Fund, e su cui l’apertura del Presidente eletto sembra costituire perlomeno una garanzia di dialogo.

La presidenza portoghese dell’UE appena iniziata ha sul proprio tavolo un portfolio di dossier molto ampio. Molte delle questioni di politica estera europea potranno essere gestite in maniera costruttiva solo attraverso una cooperazione strutturale, negli ultimi 4 anni indebolita, con il partner transatlantico, tradizionalmente partner prezioso per Lisbona. Tra questi, l’impegno americano nella struttura europea di sicurezza e difesa; il vicinato ad Est, tra cui crisi in Bielorussia e Ucraina-Russia; quello a sud con crisi libica e siriana; guerre tecnologiche; relazioni con la Cina.

Per quanto riguarda quelli di politica interna, tra cui Recovery Plan, stato di diritto e violazione dei diritti delle minoranze, starà solo all’UE portare avanti un’agenda efficace finalizzata alla risoluzione di tali questioni. Tuttavia, il nuovo corso politico americano, particolarmente sensibile a tali temi, potrebbe contribuire ad un confronto aperto in cui gli attori coinvolti, Polonia e Ungheria in primis, siano responsabilizzati non solo come beneficiari dell’UE ma come protagonisti proattivi del processo di integrazione europeo.

Teresa Coratella è Program Manager di ECFR Roma


Le opinioni espresse sono personali e potrebbero non necessariamente rappresentare le posizioni di Europa Atlantica

Immagine tratta da Pixabay

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