La guerra al Coronavirus e la risposta necessaria dell’Europa

L’Europa è in guerra contro un nemico nuovo e imprevedibile e rischia ricadute economiche e politiche pesanti. Come hanno detto Sergio Mattarella e Emmanuel Macron, in questa crisi l’Unione deve agire rapidamente e unita. L’iniziativa di Italia e Francia può aiutare l’Europa.

Siamo nel mezzo di una lotta dura, difficile, che nessuno di noi poteva immaginare di dover vivere solo poche settimane fa. Per quanto nuova, l’emergenza del Covid-19 può davvero avere le dimensioni di una guerra combattuta contro un nemico invisibile e sconosciuto, contro il tempo e i contagi in crescita, contro i limiti di sistemi sanitari concepiti per farsi carico di situazioni critiche, ma non di questa portata.

Non sappiamo quando l’emergenza finirà, ma possiamo temerne gli effetti, gravi, su tutta l’Europa sul piano economico e politico. Anche perchè sono i due sono strettamente legati.

Questa crisi è arrivata in un momento di estrema debolezza dell’Unione europea, che infatti non versava in ottime condizioni già prima che scoppiasse l’epidemia: da almeno una quindicina di anni la sua parabola si era prima arrestata e poi aveva iniziato a calare, sempre più bruscamente, fino ai giorni odierni. Divisa al suo interno, ferma nel processo di integrazione,  attraversata da movimenti populisti e sovranisti di diversa natura che ne vogliono ugualmente la fine, l’Europa è oggi molto esposta sia alla conflittualità globale che la circonda, che all’aggravarsi dei suoi problemi interni. In tempi recenti è sempre più apparsa, nella debolezza della politica e nella crisi del suo progetto, spesso vittima delle sue stesse strutture burocratiche o avvitata su se stessa intorno a regole e procedure ormai inadeguate al tempo corrente e alle sfide globali.

In questa situazione di fragilità è arrivata improvvisa la nuova emergenza del Coronavirus, probabilmente la prova più grave e pesante che l’Unione si sia mai trovata ad affrontare. Dopo l’esplosione dell’epidemia, nonostante le competenze in materia sanitaria e di salute pubblica siano prerogativa degli stati nazionali, l’UE sta provando attraverso soprattutto la Commissione e la BCE a mettere in campo delle misure di intervento importanti, anche prevedendo investimenti ingenti per sostenere l’economia, la ricerca, la sanità. Nonostante questi propositi è apparsa comunque in ritardo rispetto agli eventi, incapace di reagire prontamente all’emergenza, e divisa, soprattutto tra i singoli stati, sui mezzi da utilizzare per affrontare la crisi. In realtà, come ha affermato anche il Presidente della Repubblica Sergio Mattarella, agire rapidamente e in maniera solidale è nell’interesse stesso di tutta l’Unione[1]. Una solidarietà forte, sia a livello sanitario che di bilancio, necessaria per superare la crisi, a cui ha fatto riferimento anche il Presidente della Repubblica Francese Emmanuel Macron, in una sua intervista ad alcuni quotidiani italiani[2].

Una sintonia, quella tra Italia e Francia, che guarda alla possibilità di rilanciare il progetto Europeo, rafforzata anche dalla Spagna e altri paesi, che nella recente riunione del Consiglio dei capi dei governi dell’Unione hanno sostenuto proprio l’esigenza di una maggiore solidarietà in aiuto dei paesi più colpiti dall’epidemia e di azioni che permettano di intervenire contro gli effetti perversi della crisi attraverso strumenti nuovi, che possano prevedere per esempio la possibilità di un indebitamento comune o dell’aumento del bilancio.

Infatti, non si tratta di una crisi come altre già vissute, non riguarderà solo alcuni singoli paesi e non era prevedibile: l’assenza di unità e di condivisione nelle scelte o il ricorso a strumenti di intervento pensati per le crisi del passato, potrebbero rivelarsi alla fine inadeguati a difendere gli interessi comuni. Per questo occorre fare un passo in avanti e farlo in maniera unitaria come richiesto da Macron e Mattarella.

Proprio di fronte al rischio di nuove divisioni e ai ritardi nell’intervento necessario, la mancanza che constatiamo oggi da parte dell’Unione Europea in questa emergenza è soprattutto politica. I nodi che tengono immobile da anni l’Unione hanno prettamente una natura politica e come tali vanno sciolti. Il confronto interno che da tempo si riproduce tra i paesi del Nord e quelli del Sud, emerso anche nella recente riunione del Consiglio, tra una linea più rigorista e una meno, ha natura politica, non solo economica o tecnica. Si tratta di una discussione che attiene al progetto e all’orizzonte stesso dell’Unione, non solo alla mera applicazione di regole, trattati e cifre. Ma non ce ne vogliano gli alfieri dell’austerità o celebri “falchi” del rigore, questa volta l’Unione non può più permettersi una simile divisione o di indugiare troppo nell’immobilismo per non assumere una decisione: la gravità della situazione, che probabilmente non è percepita nella stessa maniera nonostante i numeri crescenti del contagio in tutto il continente, impone di agire e non di indugiare. Occorrono decisioni forti e soprattutto, vanno accantonati gli egoismi o le reticenze manifestate da alcuni paesi.

Mario Draghi ha usato in questi giorni parole molto chiare su come sarebbe necessario intervenire da parte dell’Unione per arginare gli effetti drammatici della crisi e sostenere l’economia[3]. Strumenti e proposte possibili per intervenire in questo frangente eccezionale non mancano, come quelli suggeriti dai governi di Italia, Francia e Spagna in un nuovo fronte comune di cui fanno parte altri sei paesi, che per la prima volta, all’interno del Consiglio, hanno chiesto con forza un cambio di linea. Una posizione di cui Italia e Francia, attraverso anche le affermazioni dei capi dei rispettivi governi, sembrano oggi le principali rappresentanti tra i paesi fondatori.

Siamo ad un passaggio decisivo per la storia europea. Perchè in questa crisi, dovessero venire meno i vincoli di solidarietà reciproci, non è scontato nemmeno il destino dell’Unione stessa così come l’abbiamo conosciuta fino ad oggi. Da una parte sovranisti e antieuropeisti sembrano aspettare il momento giusto per sfruttare indecisioni ed eventuali errori per attaccare strumentalmente il progetto dell’Unione nella sua interezza. Per affossarlo del tutto. Dall’altra però, nè una difesa di ufficio nè una sottovalutazuone della gravità dell’emergenza, che non è solo sanitaria, possono essere più accettate. Per questo servono scelte politiche coraggiose supportate da nuovi strumenti di intervento economico e di azione politica, in grado di agire sul presente e sul futuro prossimo a livello socio-economico, ma che in prospettiva possano anche potenziare le competenze e le capacità di intervento coordinato dell’Unione in altre possibili emergenze simili, dandole subito i mezzi per fare quello che in casi simili si deve fare con immediatezza. Perchè in futuro minacce e crisi come questa, di natura sanitaria ma anche climatica o ambientale o batteriologica, potrebbero essere molto più frequenti di quanto si immagina. Ricordiamo a inizio anno la grave crisi degli incendi in Australia, giusto per fare un esempio.

L’Unione purtroppo in questa prima fase dell’emergenza, ha spesso dato il senso di non avere sufficiente forza e autorevolezza per imporsi sui singoli stati e i loro egoismi, che sembrano essersi accresciuti nel tempo. Come altre volte in passato sembra subire troppo le scelte di alcuni stati in particolare, anche quando non è così. Forse sconta oggi una difficoltà intrinseca delle sua stessa struttura e nei suoi meccanismi decisionali, dove gli stati pesano ancora tanto in un sistema concepito e creato in epoca di pace, forse inadeguato per i tempi correnti, dove servono decisioni rapide e nette e non continui rimandi in cerca dell’unanimità. Oggi diventa necessario che cambi passo e intervenga in maniera più forte, più decisa per sostenere l’economia e l’occupazione, per proteggere gli asset strategici e industriali europei,  per reagire alla crisi e affrontare il dopo.

È necessario un cambio di paragidigma, che dal rigore e dall’austerità metta al centro gli investimenti pubblici, un nuovo ruolo delle istituzioni statali europee e la solidarietà tra gli stati. Un cambio radicale rispetto al recente passato che gli alfieri dell’ordoliberismo probabilmente potrebbero non voler accettare, ma a cui non si vedono possibilità alternative: le risposte alla crisi non possono essere trovate dai singoli stati in autonomia senza una forte regia europea e non è nemmeno possibile che l’Unione intera resti ferma in nome del rigore economico. Perchè troppo rigore e troppa rigidità, soprattutto in situazioni emergenziali come questa, possono diventare un freno.

Forse questa può essere invece l’occasione per ridare un progetto nuovo all’Unione, per fare passi in avanti nel suo rilancio e per capire che l’Europa, se vuole sopravvivere in questo mondo di grandi potenze in competizione, deve iniziare a giocare come gli altri e deve farlo unita, definendo un suo ruolo globale. Senza di questo i singoli stati, in una fase critica come l’attuale, inizieranno sempre di più a cercare risposte in proprio per tutelarsi e difendersi nell’area globale, anche cercando altrove sicurezza e alleanze.

In passato, quasi sempre, dopo una emergenza così qualcosa è cambiato e anche in questo caso, dopo un’esperienza simile, probabilmente potranno cambiare molte cose, non solo nelle nostre abitudini e nelle nostre vite, ma anche nel modo di guardare al mondo e alla politica. Data la sua gravità, potrà cambiare certamente qualcosa anche a livello generale, nelle istituzioni, a livello politico e geopolitico.

Ovviamente è presto per dirlo, soprattutto in caso di una grave recessione economica, i sentimenti di paura e rancore, diffusi da anni nell’opinione pubblica europea, potrebbero aumentare ancora fornendo nuovio carburante al sovranismo, al protezionismo e la razzismo

Questa emergenza, soprattutto se l’Unione dovesse rimanere marginale nella sua gestione, oltre a un rilancio del nazionalismo e delle rivalità tra stati, potrebbe produrre ricadute politiche e geopolitiche globali che l’Europa potrebbe subire pesantemente e che potebbero presupporre in prospettiva il rischio di una progressiva marginalizzazione delle istituzioni europee fino all’esaurimento stesso della loro funzione e un sostanziale svuotamento del loro ruolo.

L’alternativa a questi rischi è mettere in sicurezza l’Unione, al più presto, e rafforzarla. A questo mira l’iniziativa franco-italiana di queste ore: rilanciare l’Unione oltre i suoi limiti e le sue divisioni per evitare che questa crisi la danneggi ancora. Per riuscire in questo, però, non basta evocare formule e richiami al passato o alla fedeltà ai valori dei padri fondatori, adesso servono progetti concreti, solidarietà reciproca e determinazione, con la capacità di trovare una sintesi alta, tra i paesi membri, in nome del bene comune. Adesso può essere il momento di rilanciare il progetto dell’Unione, anche con una proiezione globale, investendo sull’unità di intenti e sul rapporto di collaborazione con l’Alleanza Atlantica e con gli USA in nome dei comuni interessi strategici e della sicurezza collettiva.

Ci sono molte cose che possono essere cambiate in meglio nell’UE trovando una sintesi tra esigenze legittime diverse, ma comunque adeguata alla sfida che abbiamo davanti. Basta volerlo.

Dalle emergenze e dalle crisi si può uscire più forti, è vero, ma non è sempre detto. Per farlo servono progetti chiari e innovativi, adeguati alle necessità del momento, e leadership in grado di realizzarli. Si pensi a cosa fu creato dopo la Seconda Guerra mondiale: molto era già stato concepito prima della sua fine, dalla Carta Atlantica a Bretton Woods, e probabilmente senza gli errori del 1919 o la crisi del 1929 non sarebbe stato possibile immaginare un nuovo ordine politico ed economico internazionale. Ma per riuscire in quel progetto, oltre alla creazione delle grandi isituzioni internazionali, fu necessario investire economicamente nella pace, con il piano Marshall, e aiutare gli ex nemici (Italia, Giappone, Germania) a diventare amici.

Al momento in Europa stiamo attraversando l’ora più buia della crisi e gli sforzi maggiori devono essere tutti incentrati a vincere la guerra contro il virus e scongiurare le sue peggiori ricadute economico-sociali. Ma come nel secondo dopo guerra occorre coniugare scelte economiche e politiche coraggiose e farlo rapidamente, proprio in questo passaggio critico, restendo saldamente europei. Consapevoli che farlo è l’unica possibilità che abbiamo per sopravvivere nel mondo che abbiamo davanti, un mondo dominato dalle grandi potenze dove l’Europa dovra decidere se sedere al tavolo dei grandi o meno.

Il futuro dell’Unione Europea, e con essa dell’Occidente, si gioca durante questa emergenza, esplosa in un epoca di profondo cambiamento sociale, economico, tecnologico e geopolitico. Come durante la Seconda Guerra mondiale si giocò quello delle democrazie moderne. Quando finirà, e sulla base di come l’avremo affrontata insieme, l’Unione Europea potrebbe anche non essere più la stessa. Sta anche a noi adoperarci affinchè possa agire e cambiare in meglio, anche a costo di sciogliere adesso i nodi troppo a lungo rimandati sul suo futuro e sul suo progetto.  

Andrea Manciulli è Presidente di Europa Atlantica

Enrico Casini è Direttore di Europa Atlantica


[1] Testo integrale del discorso del Presidente Mattarella del 27-03-2020 su https://www.quirinale.it/elementi/48605

[2] Intervista del Presidente della repubblica francese Emmanuel Macron, su La Stampa, del 28-03-2020 su https://www.lastampa.it/esteri/2020/03/27/news/macron-la-francia-e-al-fianco-dell-italia-l-europa-smetta-di-essere-egoista-1.38646428

[3] Intervento di Mario Draghi al Financial Times, tradotto e pubblicato su Corriere della Sera, https://www.corriere.it/economia/finanza/20_marzo_26/mario-draghi-siamo-guerra-contro-coronavirus-dobbiamo-agire-a0cd397a-6f87-11ea-b81d-2856ba22fce7.shtml

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