La sfida di SpaceX e il futuro dei viaggi spaziali

Il successo della missione SpaceX Demo 2 non solo rilancia il ruolo dei privati nella corsa allo spazio, ma offre nuove prospettive ai programmi spaziali della NASA.

Per quanto le nuvole all’orizzonte fossero piuttosto minacciose, non sono arrivate in tempo per rovinare la festa al Kennedy Space Center di Cape Canaveral (Florida). La missione SpaceX Demo 2 (sul nome ci torneremo poi) con lanciatore e modulo proprietari (rispettivamente Falcon 9 e Crew Dragon) è stato un successo. All’impresa tecnologica si aggiunge l’innegabile successo mediatico: da giorni si dava risalto all’importanza del lancio e bisogna ammettere che, questa volta, la stampa è stata abbastanza allineata con la portata dell’evento. Portata non così epocale come si è voluta far passare in certi comunicati della stampa generalista, ma comunque significativa in un mondo che sta cambiando – ed il cambiamento viene da lontano, ci torneremo poi – non solo a terra ma anche tra le stelle.

Buona parte del risalto mediatico è certamente dovuta al fatto che, in un mondo in cui praticamente soltanto l’ESA continua a predicare la cooperazione, gli Stati Uniti, freschi di fondazione di US Space Force, riconquistano la propria autonomia operativa e tecnologica in quella che si sta delineando come una corsa allo spazio dal carattere chiaramente competitivo. Per la prima volta in quasi 10 anni gli Stati Uniti hanno le carte in regola per lanciare un modulo “proprietario”, con vettore “proprietario”, dal suolo americano. Le virgolette sono d’obbligo e rappresentano forse la più grande innovazione del lancio del Crew Dragon rispetto a quanto è venuto prima: un’azienda di mercato manda due astronauti in orbita. La gestione della missione, per la prima volta nella storia, non è di competenza di un ente governativo ma di un’industria di mercato. L’industria spaziale che dalla sua nascita si è sempre proposta come fornitore, oggi rinasce come industria di servizi. E se è vero che la competitività nel campo dei servizi si basa (volendo semplificare) sulla riduzione dei costi (a parità di servizio offerto, ovviamente), non c’è da stupirsi se durante la diretta il maggior numero di applausi sia stato dedicato all’immagine del Falcon 9 che atterra perfettamente verticale sulla piattaforma di recupero. Il Falcon 9, il primo vettore riutilizzabile della storia, è il risultato di un’intuizione di Elon Musk (che di intuizioni interessanti, da Paypal passando per Tesla, ne ha avute diverse) e rappresenta una possibile soluzione ad un problema che ha anche segnato il programma Space Shuttle e provocato un generale rallentamento della corsa allo spazio a partire dagli anni ‘70: il tema dei costi.

Come si è arrivati a parlare di “riduzione dei costi” o “servizi privati” in un settore come quello spaziale, storicamente dominato da programmi di finanziamento pubblici e gestiti direttamente da enti statali? L’intuizione parte da lontano ed è, come per tutte le cose che partono col piede giusto, frutto dell’esperienza e dello spirito di adattamento ai tempi che cambiano. Nel 2011 viene chiuso il già citato (costosissimo) programma Space Shuttle e gli Stati Uniti si trovano senza lanciatori proprietari o moduli all’avanguardia (per interagire con la ISS ci si affiderà per anni ai russi). Più o meno nello stesso periodo la NASA fa partire, senza grande clamore mediatico, un programma forse non destinato al raggiungimento di obiettivi epocali ma di certo focalizzato al cambiamento di prospettiva: per risolvere il problema dei costi, affidiamoci a chi con l’abbattimento dei costi vive o muore; affidiamoci allo “spirito di autoconservazione” delle aziende private di mercato. Il Commercial Crew & Cargo Program (C3PO, omaggio a Star Wars!) nasce negli anni della chiusura del programma Space Shuttle e comincia a finanziare i big dell’industria aeronautica e spaziale (del calibro di Boeing, ma anche di una giovane ma promettente SpaceX) come fossero start-up, nell’ottica di dar loro le competenze necessarie per poter gestire in futuro i servizi funzionali ai programmi scientifici della NASA. Un ramo importante di C3PO, il Commercial Crew Development (CCDev) punta proprio ad introdurre l’industria in una delle attività fin lì esclusive della NASA come il lancio di astronauti in orbita. Il cambiamento di prospettiva è epocale: si passa, in sostanza, dalla macchina di proprietà al car-sharing.

E così torniamo al nome della missione del 30 Maggio: SpaceX Demo 2 è appunto la seconda missione di SpaceX del programma CCDev e segue a SpaceX Demo 1 del Marzo del 2019 in cui, più o meno con la stessa configurazione, il modulo era stato mandato in orbita senza equipaggio. Non sarebbe però vero mercato senza la competizione: nel 2019 la missione Boe-OFT (Boeing orbital flight test) aveva completato con successo una missione più o meno equivalente a SpaceX Demo 1. Anche in quel caso tutte tecnologie proprietarie (di Boeing, ovviamente), dal lanciatore Atlas V ed il modulo Starliner. Nel corso del solo prossimo anno sono previste altre tre missioni (due Boeing e una SpaceX) mirate a portare in orbita astronauti in numero via via crescente.

Le modalità di abbattimento di costi sono, come detto, un tema che di sicuro sarà determinante nel prossimo futuro e su cui sarebbe necessario un articolo a parte. Va detto che mentre Elon Musk punta (tra le altre cose) sul recupero del vettore di lancio, Boeing punta sull’abbattimento dei costi di costruzione (i suoi moduli Atlas per esempio non sono recuperabili). Ma sono l’unico tema caldo nel futuro dell’industria spaziale? Tutti questi sforzi sono esclusivamente finalizzati a soddisfare le aspettative di mamma NASA? Ovviamente no. Arriverà il momento in cui, con soddisfazione della stessa mamma NASA, le aziende cominceranno a camminare con le proprie gambe e faranno quello che fanno le aziende di mercato: offrire servizi da privato a privato, proponendo esperienze spaziali a chi abbia abbastanza soldi da poterselo permettere e provando ad estendere il più possibile la platea di potenziali interessati. E’ tempo quindi di cominciare a pensare a pacchetti vacanza comprensivi di ventidue giri del mondo, sonno a gravità zero e cocktail di benvenuto? Lo spazio avrà un suo “market-share” come qualsiasi bene o esperienza offerta sulla terra? Per quanto sia certamente prematuro, è probabile che il fine ultimo delle aziende private, com’è giusto che sia, sia proprio quello.

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