Sulla politica estera serve unità nazionale. L’analisi di Manciulli

Conversazione di Andrea Manciulli, presidente di Europa Atlantica, con Stefano Vespa realizzata per Formiche

“Sconfessare gli accordi sottoscritti con la Libia è una follia, sui temi di politica estera è indispensabile anteporre l’interesse nazionale a quello di parte. Purtroppo la scelta del Partito democratico di astenersi sulla Libia nel voto sulle missioni internazionali è dipesa solo da interessi nostrani”. Andrea Manciulli, presidente di Europa Atlantica, grande esperto di terrorismo jihadista e nella scorsa legislatura, come deputato del Pd, estensore e relatore della Legge quadro sulle missioni per conto dell’allora maggioranza, è molto preoccupato perché le lotte intestine fanno perdere di vista la complessità e i rischi della situazione geopolitica del Mediterraneo.

In Italia si litiga, dall’altro lato del mare si combatte. Che succede?

Le parti si sono invertite, le posizioni di politica estera sembrano più funzionali all’agone politico nazionale che al merito delle missioni ed è grave: la cosa che fa più rabbia dopo la votazione del Pd, astenutosi sulla Libia, è che si è pensato più al dibattito interno che a quello che sta accadendo nel Mediterraneo. Con la Legge quadro sulle missioni internazionali di cui fui estensore e relatore nella scorsa legislatura uno degli obiettivi era proprio fare una discussione politica una volta l’anno sul complesso delle missioni e quindi sulla finalità della politica estera italiana, anche esaltando la tipologia delle nostre missioni che mettono insieme l’aspetto militare e geopolitico con quello cooperativo.

Le informazioni sulla Libia che animano il dibattito sono superficiali: si parla solo dell’immigrazione e i cittadini non si rendono conto delle conseguenze di quello che accade, dai bombardamenti del generale Khalifa Haftar anche sui civili alla minaccia del presidente Fayez al Serraj di liberare i migranti dai campi di prigionia. Come possiamo spiegare quello che sta veramente accadendo?

Se uno guarda a che cosa accade veramente in Libia, e purtroppo da quello che leggo molti protagonisti del dibattito danno l’impressione di conoscerne poco, la situazione è più grave rispetto a qualche mese fa. La conflittualità fra i due governi, quello di al Serraj riconosciuto dall’Onu e quello di Haftar, è molto aumentata e l’ondata di attacchi nelle ultime ore sta avendo conseguenze serie nella periferia meridionale di Tripoli dove sono presenti anche alcuni campi di permanenza dei migranti.

Si rischia un caos ingestibile?

Ingestibile nel breve e nel lungo termine. Un paese come il nostro, che è quello senza dubbio più informato sulle vicende libiche, non può prescindere da questa situazione. Sta peggiorando anche il Sud del Paese, la fascia al confine col Sahel e che si mischia al nuovo fronte del jihadismo di quell’area che è una delle minacce più grandi.

Durante la sua visita a Roma il presidente russo, Vladimir Putin, ha detto che alcune centinaia di combattenti islamici stanno confluendo dalla Siria verso il Nord Africa.

Putin ha ragione, è quello che sta accadendo. Nel sud della Libia l’economia illegale ormai ha completamente sostituito quella legale in uno scenario che facilita l’attecchimento del terrorismo. La Libia è un paese ricco, avrebbe risorse per vivere tranquillamente, ma il perdurare dell’instabilità e del disordine sta endemizzando il fenomeno in tutto il sud, gli attacchi di Haftar stanno rendendo fragile anche una parte della Tripolitania dove si sono riaccesi gli scontri e la popolazione scappa muovendosi verso altre zone e creando sacche di ingovernabilità. Ciò comporta anche una minore attenzione dei libici nei confronti dei campi di prigionia.

Il tema che ha spaccato il Pd è rappresentato dagli accordi stipulati con i libici dal governo Gentiloni e in particolare dall’allora ministro dell’Interno, Marco Minniti: l’astensione nasconde un evidente rovesciamento di posizioni.

Se c’è una cosa che non dovremmo fare è mettere in discussione quegli accordi che sono un faro, l’elemento che ci permette di agire su quel territorio. Da questo punto di vista il lavoro dell’Aise, i nostri Servizi per l’estero, è eccezionale perché in questi mesi ha mantenuto il dialogo tribù per tribù. Tutte le forze politiche dovrebbero dare una mano ai Servizi su questo fronte.

Le informazioni riservate dell’intelligence arrivano sia al governo che ai vertici delle opposizioni: far finta di niente significa essere irresponsabili?

Purtroppo è così. Per esempio, mi ha molto preoccupato il doppio attentato di Tunisi dei giorni scorsi perché è arrivato dopo mesi di silenzio, ma chi si occupa di terrorismo islamico sa che la Tunisia è un anello delicato della catena perché da lì proveniva un numero esorbitante di foreign fighter ed è una zona di scambio con le aree a sud e con il Sahel. La Libia, dal canto suo, è l’anello che può peggiorare ulteriormente la situazione. Contestare gli accordi con i libici, che secondo me sono stati una delle cose fondamentali della scorsa legislatura, mi sembra una follia. Pur essendo su sponde politiche diverse, devo dire che la maggioranza ha dimostrato maggiore realismo.

Resta però confusione nella politica estera del governo su questi temi, a parte l’attività dell’intelligence e dei funzionari della Farnesina.

Il punto centrale è che la vicenda libica va trattata dialogando tra maggioranza e opposizione e anteponendo l’interesse nazionale, come i partiti della Prima Repubblica sapevano fare. Dopo anni di tentativi di dialogo per favorire l’unità, che è fondamentale, la Libia finisce per diventare un paradiso dell’illegalità, compreso il traffico di migranti. Su questo dividersi è sbagliato: sbaglia il governo nel non tenere conto della complessità del fenomeno migranti, sbaglia l’opposizione a non porsi il problema di fermare i trafficanti, cioè di fare accordi con la Libia. Serve uno sforzo di crescita culturale da parte di tutte le forze politiche.

Nel frattempo l’attività delle Ong continua a spaccare destra e sinistra.

La sinistra dovrebbe spingere queste organizzazioni a occuparsi di più di quello che avviene a terra in Libia e di quello che accade nei paesi di origine e di transito dei migranti. Da analista del terrorismo, una delle cose che mi preoccupa di più è che tutta la fascia del Sahel sta molto peggiorando lasciando presagire che il fenomeno delle migrazioni e dell’instabilità non diminuirà.

La posizione del Pd oggi prevalente, cioè contraria agli accordi con la Libia, quale alternativa offre sul fronte della crisi libica?

Non offre alternative. Uno dei punti di forza, grazie ai Servizi, è che noi eravamo capaci di dialogo con un’enormità di tribù libiche e non si trattava di accordi finti, ma vissuti sul territorio. Metterli in discussione significa mettere in discussione il vantaggio che l’Italia ha nella vicenda libica e credo che nessuna forza politica voglia perdere un vantaggio del genere.

Articolo originariamente pubblicato su Formiche

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *