La tentazione coreana di Rouhani

Lo scorso 4 dicembre, su richiesta di Francia e Gran Bretagna, è stato convocato il Consiglio di Sicurezza dell’ONU a porte chiuse, per discutere del test nucleare di un missile a medio raggio effettuato il primo dicembre dall’Iran.

Secondo gli Stati Uniti, il vettore è stato lanciato in aperta violazione della risoluzione dell’Onu sull’accordo del 2015 per il nucleare iraniano, accordo, ricordiamo, dal quale Washington si è ritirata nel maggio di quest’anno per volere del presidente Donald Trump.

L’accordo, il Joint Comprehensive Plan of Action, meglio conosciuto come Iran Deal, era nato per garantire un futuro di maggiore stabilità e sicurezza non solo per il Medio Oriente ma per il mondo intero. In sostanza, esso prevedeva che da parte loro i paesi occidentali avviassero una progressiva eliminazione delle sanzioni economiche imposte all’Iran negli ultimi anni e che, al contempo, il paese mediorientale limitasse il suo programma nucleare consentendo alcuni periodici controlli da parte dell’ONU alle sue installazioni.

Molteplici e tutte all’insegna di grande apprensione sono state le reazioni registrate in Occidente. La Francia ha espresso preoccupazione ritenendo il test non “conforme” con la soluzione Onu sul nucleare. Il ministro degli Esteri britannico Jeremy Hunt ha definito il test missilistico “provocatorio, minaccioso e incompatibile” con la risoluzione. Berlino ha esortato l’Iran a fermare tali azioni. Infine, Il Segretario di Stato americano Mike Pompeo ha affermato che si tratta di una violazione della risoluzione 2231 dell’Onu invitando l’Iran ad interrompere immediatamente tali attività.

A questi attacchi ha risposto prontamente via Twitter il ministro degli Esteri iraniano, Mohammad Javad Zarif, condannando “l’ipocrisia di Washington”. Zarif, infatti, ha accusato gli Stati Uniti di violare essi stessi la risoluzione 2231 dell’Onu. Questo, in sintesi, il quadro.

Questa prova muscolare può farci pensare ad un’affinità strategica dell’Iran con la Corea del Nord e i suoi ripetuti lanci di missili a lunga gittata? Una considerazione possibile, infatti, è che il lancio di missili balistici serva a far salire il prezzo della negoziazione con l’Occidente. Tuttavia, l’Iran non è la Corea del Nord. La vicinanza dell’Iran con i due arcinemici storici, Israele e Arabia Saudita, espone il regime di Teheran a ritorsioni militari dirette. Certamente la questione iraniana ha assunto una nuova centralità nell’agenda politica di questi due influenti players, che sull’Iran si trovano ad essere ormai alleati di fatto. In merito a questo avvenimento che ha provocato, come si è visto, una riapertura di questioni considerate delicate per gli equilibri globali, Europa Atlantica ha chiesto il parere di due esperti.

 

Matteo Bressan, Analista e componente del Comitato Scientifico del NATO Defense College Foundation. Coordinatore didattico e docente del corso sul terrorismo della SIOI. Docente a contratto di Relazioni Internazionali presso la Lumsa. Si occupa di Medio Oriente per gli occhi della guerra, su “Il Giornale.it”. Ha svolto attività di docenza presso l’Istituto Superiore di Stato Maggiore Interforze (ISSMI) e presso l’Università UNICUSANO.

Claudio Bertolotti, Ph.D, è Analista strategico, docente di “Analisi d’area”, Subject Matter Expert per la NATO  e ricercatore italiano al CEMRES di Tunisi per la “5+5 Defense Initiative” per la sicurezza del Mediterraneo.

 

EA: Come va letto il lancio di missile balistico iraniano? È una provocazione e un segnale muscolare?

Bertolotti: Quella che appare come una prova di forza da parte di Teheran, potrebbe essere in realtà una prova di “resistenza” diretta più all’opinione pubblica interna che a una platea internazionale. Dunque più ragioni di politica domestica che non di relazioni internazionali. È anche vero però che l’Iran deve, semplicemente perché non può farne a meno, muoversi con estrema cautela insistendo sulle ragioni di “difesa nazionale” a giustificazione del nuovo test missilistico che, di fatto, ha violato la risoluzione 2231 del Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite. Ma quello del 1° dicembre è solamente l’ultimo di una serie di test missilistici che Teheran ha condotto da quando l’amministrazione di Donald J. Trump guida la Casa Bianca, ma questa volta l’occasione è stata colta da Washington per alzare i toni di una scelta politica di chiusura verso l’Iran e verso una possibile accelerazione delle sanzioni nei confronti del regime degli Ayatollah.

Bressan: Dobbiamo contestualizzare i fatti. Che l’Iran, possa sviluppare un programma di missili balistici con scopi di deterrenza non deve stupire. Sul fatto che il programma missilistico, peraltro noto agli Usa, rappresenti una violazione della risoluzione ONU 2231, non c’è unanimità di vedute. Teheran, sin dai tempi della luna di miele tra Kerry e Zarif ha sempre distinto gli impegni presi nell’ambito del JCPOA dallo sviluppo di un suo programma missilistico. La questione di fondo, sul quale gli Usa e Israele insistono, è la possibilità di poter trasportar testate nucleari su questa tipologia di missili balistici. Quello che va compreso è però l’attuale contesto. Con l’avvento dell’amministrazione Trump e, in particolar modo, con la nomina di Bolton a consigliere per la sicurezza nazionale, l’Iran sta necessariamente arretrando come postura rispetto agli anni della presidenza Obama. Il combinato disposto costituito dalla uscita statunitense dal JCPOA e dal ripristino delle sanzioni, isola nuovamente l’Iran e mette seriamente a rischio la stabilità interna del paese. La sovraesposizione delle milizie iraniane nello Yemen e in Siria se da un lato, soprattutto nel caso siriano, è stata determinante per l’esito del conflitto, dall’altro espone la leadership iraniana a critiche. Non sfugge inoltre, anche in virtù della mirata campagna militare di Israele in Siria, che negli ultimi mesi gli Hezbollah e le altre milizie iraniane operanti in territorio siriano stiano progressivamente lasciando il campo. Ecco perché il recente test può anche esser considerato un segnale più ad uso e consumo di alcuni settori della società e della politica iraniana per garantire una certa tipologia di narrativa funzionale ad uno scontro con gli Usa basato sulla retorica. Proprio un mese fa, all’immagine di Trump che annunciava le imminenti sanzioni ha risposto, utilizzando un linguaggio e una grafica simile, il Generale Qasem Soleimani, il Comandante della forza Quds, la cui popolarità in Iran è altissima. L’immagine di Soleimani che rispondeva a Trump è diventata immediatamente virale e questo deve farci riflettere.

EA: Il Consiglio di Sicurezza Onu si è riunito a porte chiuse per deliberare sull’accaduto: possiamo aspettarci un riavvicinamento di Francia e GB con la posizione USA sull’Iran?

Bertolotti: La decisione di condanna è stata unanime ma priva di effetti pratici sostanziali. Francia e Regno Unito hanno assunto una posizione formale molto vicina a quella di Washington benché, al di la della condanna condivisa per l’atto in sé e l’invito a “giocare un ruolo positivo” nella stabilità mediorientale, non siano conseguite azioni concordate. Il tutto rimane più sul piano comunicativo a cui quello diplomatico da voce. Gli Stati Uniti hanno si ottenuto l’appoggio degli alleati europei che siedono al Consiglio di sicurezza, ma non l’appoggio incondizionato verso azioni di forza; non sarebbe potuto accadere diversamente considerando che a quel tavolo siedono anche Cina e Russia, che con Teheran intrattengono buone relazioni diplomatico e commerciali e, per quanto riguarda Mosca, anche un fronte comune nella guerra in Siria

Bressan: Dalle preoccupazioni manifestate dai due membri del Consiglio di Sicurezza dell’ONU e dalla Germania direi di sì, almeno per quanto riguarda il dossier dei missili balistici e sull’opportunità di non complicare uno scenario di sicurezza regionale ricco di tensioni e crisi.

 

EA: Possiamo aspettarci un cambio di postura iraniano sul nucleare anche verso l’Europa?

Bertolotti: Gli Stati Uniti hanno colto l’occasione del test balistico per fare ulteriori pressioni sull’Unione Europea affinché prenda in considerazione le sanzioni economiche al regime di Teheran; sanzioni sulle quali i paesi dell’Unione non sono in linea con la scelta politica statunitense. Non credo che Teheran voglia portare a una rottura definitiva del trattato sul nucleare; al contrario ritengo che entrambi gli attori, Stati Uniti da una parte insieme a Israele e Arabia Saudita e, dall’altra, l’Iran e i suoi sostenitori, tra i quali anche la Russia, vogliano coinvolgere in questa sorta di “trattativa” i paesi dell’Unione Europea. L’abilità europea sarà il riuscire a mantenere un equilibrio sostenibile in questa competizione non perdendo ulteriori opportunità, in primis commerciali, nel dialogo e nella collaborazione con Stati Uniti e Iran.

Bressan: Ad oggi diversi paesi europei hanno manifestato la volontà di aggirare le sanzioni statunitensi. Di fatto, però, Teheran vorrà vedere risultati concreti. Diversamente, la Repubblica Islamica dell’Iran dovrà rafforzare ulteriormente i suoi rapporti con la Russia e la Cina per poter sostenere il peso delle sanzioni.

EA: Arabia Saudita e Israele sembrano i due Paesi più direttamente minacciati da questa dimostrazione di capacità balistica.

Bertolotti: Arabia Saudita e Israele sono i due soggetti più preoccupati, e per questo sono anche i due più forti sostenitori della politica statunitense di contenimento iraniano. Al tempo stesso non dobbiamo dimenticare le preoccupazioni israeliane per via del ruolo di supporto iraniano al regime siriano di Bashar al-Assad e alle attività di “disturbo” che l’alleato dell’Iran, il libanese Hezbollah, sta conducendo proprio sul confine israeliano, attraverso la costruzione di tunnel sotterranei tra il Libano e Israele.

 

Bressan: È evidente che il contesto attuale, ben diverso da quello dell’amministrazione Obama, vede gli Usa impegnati a costruire con i propri partner regionali un cordone sanitario intorno all’Iran. Arabia Saudita e Israele hanno sempre percepito l’accordo sul nucleare come una minaccia rivolta allo loro stessa esistenza. Questa percezione è andata di pari passo con l’aumento della presenza di milizie iraniane in Siria e Yemen. Va detto tuttavia, che la capacità di questo programma missilistico, pur rappresentando una minaccia su scala regionale, come riferito dallo stesso James Mattis, non è equiparabile per capacità globali a quello della Corea del Nord.

EA: Questa prova balistica segnala anche una convergenza con Mosca sulla “guerra di logoramento psicologico” verso la NATO?

Bertolotti: Guardandola in prospettiva credo che questa possa essere una chiave di lettura corretta. Mosca, sebbene non abbia le risorse militari per potersi confrontare sul campo di battaglia” convenzionale, e non essendo interessata a farlo, ha però dimostrato di essere molto abile nel sostenere politiche di influenza nel Medio Oriente e in Nord Africa, a partire dalla Siria fino alla Libia. Al tempo stesso è riuscita a sfruttare amplificatori della propria politica anche all’interno degli stessi paesi della NATO, forse anche influendo se non sui risultati elettorali certamente su parte dell’opinione pubblica in alcuni di questi. Infine, l’attivismo russo sul fianco a est della NATO, in particolare la questione Ucraina, è un tema cardine che riesce a tenere impegnata l’Alleanza (e in particolare gli Stati Uniti) in funzione di contenimento russo; per questa ragione Mosca potrebbe guardare al fianco sud e all’area mediorientale in funzione di alleggerimento nei propri confronti ottenendo al tempo stesso l’effetto “logoramento” sul fronte opposto.

Va infine ricordato che i paesi dell’Unione Europea rappresentano il cuore pulsante dell’Alleanza atlantica, riuscire a dividere le posizioni europee portando l’Unione verso una sostanziale paralisi sarebbe un grande risultato per Mosca poiché riuscirebbe creare due anime all’interno di istituzioni, quali la NATO e l’Unione Europea, profondamente legate tra di loro per tradizioni, obiettivi e ambizioni.

 

 

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